Francesca Campana chi? Se la curatrice è la fidanzata dell’amico di Matteo Renzi. Scoppia la polemica sulla mostra fiorentina dedicata a Pollock e Michelangelo. Il commento di Sergio Risaliti
Cronache da un’Italia inquieta, col vizio della polemica a tutti i costi, quella che piace tanto alla gente e che va dritta nel tritacarne mediatico a sfondo politico. Accade infatti che a Firenze due consiglieri comunali d’opposizione, Ornella De Zordo e Tommaso Grassi, abbiano avanzato spiegazioni all’amministrazione in merito a una faccenda ritenuta poco trasparente: sarebbe infatti emerso […]
Cronache da un’Italia inquieta, col vizio della polemica a tutti i costi, quella che piace tanto alla gente e che va dritta nel tritacarne mediatico a sfondo politico. Accade infatti che a Firenze due consiglieri comunali d’opposizione, Ornella De Zordo e Tommaso Grassi, abbiano avanzato spiegazioni all’amministrazione in merito a una faccenda ritenuta poco trasparente: sarebbe infatti emerso che la co-curatrice della mostra su Pollock e Michelangelo, attesa per il mese di aprile a Palazzo Vecchio, è una giovane filosofa di 26 anni, con un fidanzato particolare e poche esperienze in ambito artistico. Francesca Campana Comparini, ventiseienne, che la mostra l’ha ideata, curata e proposta al Comune insieme a Sergio Risaliti, sta infatti per sposare Marco Carrai, renziano di ferro, presidente dell’Aeroporto di Firenze e membro del Cda della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, nonché socio della Holden srl di Baricco e direttore generale della Fondazione Big Bang. Insomma, uno degli uomini dell’inner circle del Primo Ministro Matteo Renzi. E quindi? Quindi è uno scandalo, almeno secondo i due consiglieri sospettosi, che non hanno potuto “tacere sull’inopportuna connessione tra la curatrice e l’entourage dell’ex Sindaco”. Arrivando a chiedere lumi sulla “valutazione tecnico amministrativa” della mostra e sulla sua legittimità, alla luce di presunti favoritismi e conflitti d’interesse.
Insomma, se la curatrice è giovane, se sta costruendosi una carriera, se non ha ancora lavorato al Louvre e se non ha fatto l’assistente per qualche vecchio volpone dell’Olimpo dell’arte, va da sé che non possa realizzare un progetto istituzionale di valore. E soprattutto che non possa avere altri meriti se non quello di essere la “fidanzata di”. Preparazione filosofica? Una laurea col professor Givone (assessore alla cultura a Firenze)? Abilità di analisi e di scrittura? Figuriamoci. Se è una donna poi, le possibilità che abbia del talento, al di là degli incarichi del compagno, si riducono praticamente a zero. Per i giustizieri della meritocrazia, almeno, c’è sempre spazio per una condanna senza appello. Soprattutto se lo scopo è uno: trovare un motivo, uno qualunque, per attaccare l’avversario politico e gettarlo in pasto alla stampa. Perché al di là delle amicizie e dei canali preferenziali – che in questo come in mille altri casi sono palesi, ma che non escludono a priori la qualità professionale – la vera questione si risolve nel duello del momento: renziani contro antirenziani. Tout court.
Ora, che lo faccia l’opposizione ci può pure stare. Ma se a rincarare la dose ci pensa, dalle colonne del Fatto Quotidiano, Tomaso Montanari, la cosa convince un po’ meno. Una pagina di ironia pungente, la sua, nei confronti di chi tanto parla di “merito”, per poi far lavorare la fidanzata dell’amico. Evabè, stilettata messa in conto. A tutto ciò, però, si aggiunge un giudizio catastrofico sulla mostra, o meglio, sul suo impianto teorico: “Un tentativo di far dimenticare la fallimentare e tragicomica caccia all’inesistente Leonardo della Battaglia di Anghiari ospitando nello stesso Salone dei Cinquecento un confronto tra Michelangelo e Jackson Pollock. Sì, avete capito bene: appoggiandosi sul fatto che Pollock da giovane ha copiato qualche opera di Michelangelo (come è capitato a ogni artista da cinque secoli in qua), si è deciso di stupire i borghesi appaiando ai marmi del Buonarroti le gocciolature del pittore americano. Purissimo marketing, dal valore culturale prossimo allo zero”.
Per Montanari, dunque – che ci si domanda se abbia letto il progetto – si tratterebbe di una colossale idiozia, frutto del nulla culturale e di quella vocazione mediatica di stampo tipicamente renziano, che una certa sinistra ama rilevare ad ogni occasione. Peccato che, dietro al concept, c’è uno come Risaliti, che in quanto a titoli da esibire e competenze in materia non ha niente da dimostrare. E già questa è, da sola, una garanzia.
Rispetto alle critiche al vetriolo di cui sopra, andrebbero poi rimesse le cose al loro posto: lo spazio non è quello del Salone dei Cinquecento – dove in ogni caso non ci sono “i marmi” del Buonarroti, ma uno solo, Il Genio della Vittoria – ma il tutto sarà diviso tra la Sala dei Gigli e la Sala della Cancelleria, entrambe prive di opere scultoree del Buonarroti. Saranno invece esposte tele di Pollock giunte da New York, Tel Aviv, Roma, Amsterdam, oltre a dei preziosissimi disegni dell’artista americano, prestati nientemeno che dal Metropolitan Museum di New York. Nessun raffronto banale e diretto, dunque, con le statue michelangiolesche, tanto per “stupire i borghesi”, ma un’idea critica da sviluppare, mettendo insieme la rivoluzione gestuale, linguistica, concettuale operata dal “gocciolatore” – uno degli artisti che hanno cambiato radicalmente l’idea e la pratica dell’arte nel Novecento, tanto per dire – e la straordinaria avventura filosofica che guidò Michelangelo nel suo percorso di reinvenzione dei codici, delle forme e dello stesso concetto di scultura. Insomma, una mostra che nasce da un ragionamento, da una scoperta iconografica, da un’esigenza di lettura delle cose, passando per un accostamento non convenzionale. Cosa c’entri tutto questo con la giovane età e soprattutto col fidanzato di Francesca Campana non si capisce bene. Gossip politico a parte.
Il commento di Sergio Risaliti? Durissimo: “Le posizioni di qualche studioso rendono questo paese una brutta provincia, un posto in cui dietro al paravento del sapere universitario si nasconde una smodata ambizione politica”. E ancora: “Sono certo che Francesca Campana si meriti la carriera che realizzò un altro giovane filosofo, un ragazzo che ebbi la fortuna di incontrare alla fine degli anni ‘90, durante al mia direzione artistica alle Papesse, e che coinvolsi in progetti ambiziosi, in modo che potesse mettere a frutto le sue capacità, il suo talento. In un momento in cui molti giovani sono costretti a cercare fortuna all’estero, mi pare solo positivo se, invece, riescono a realizzare le loro migliori aspirazioni in Italia”. E anche vent’anni fa, probabilmente, qualcuno avrà sussurrato, maligno: “Gianfranco Maraniello chi?”…
– Helga Marsala
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