Dieter Roth a Milano? Una mostra infernale! Parola di Marco Tronchetti Provera, che sintetizza così il lavoro monumentale che sta dietro alla retrospettiva all’Hangar Bicocca. Valutate da fotogallery e video se ha ragione o meno…
“Una mostra del genere poteva essere allestita solo qui, in questo spazio. Bisogna venire a Milano per vedere una retrospettiva tanto ricca”. Così Vicente Todolì, contento come solo un bambino nel negozio di giocattoli: si alza il sipario sulla sua prima mostra come supervisore dell’Hangar Bicocca, arrivata quaranta giorni dopo il delicatissimo e spettacolare aperitivo […]
“Una mostra del genere poteva essere allestita solo qui, in questo spazio. Bisogna venire a Milano per vedere una retrospettiva tanto ricca”. Così Vicente Todolì, contento come solo un bambino nel negozio di giocattoli: si alza il sipario sulla sua prima mostra come supervisore dell’Hangar Bicocca, arrivata quaranta giorni dopo il delicatissimo e spettacolare aperitivo rappresentato dalla mega installazione di Ragnar Kjartansson. E la partenza è di quelle da sprinter. Il mondo di Dieter Roth esplode in tutta la sua magmatica e ricca complessità, onirico e visionario catalogo di oggetti e situazioni; suoni, profumi e colori. Una grande mostra e al tempo stesso una mostra grande, “infernale” ha voluto definirla Marco Tronchetti Provera; significando in un aggettivo l’enorme mole di lavoro necessaria per ricreare sotto i carroponti dell’Hangar un irrefrenabile caleidoscopio concettuale, ordinatissimo caos mentale e creativo. L’atmosfera è più che famigliare, e sembra difficile potesse essere altrimenti: deus ex machina dell’operazione è infatti il figlio di Dieter, Bjӧrn Roth, più che un semplice curatore l’autentico depositario di un flusso creativo che non si è interrotto con la scomparsa dell’artista, ma continua a scorrere più forte del tempo. Con lui una squadra di vigorosi, chiassosi e magnifici vichinghi; capitanati da Einar e Oddur, terza generazione dei Roth, folletti alti uno e novanta che imperversano sfornando statue di cioccolato, rovesciando cassette di mele, scorrazzando macchinine telecomandate, spillando birre a ripetizione.
Una versione gioiosa del Dogville di Lars von Trier, carnevale felliniano catapultato in un Nord Europa mai così caldo e accogliente: performance più o meno volontarie animano installazioni che sono stupefacenti scatole teatrali, quinte che si aprono su video e disegni, foto e sculture. Universo variopinto e seducente.
– Francesco Sala
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