In morte di Franco Scaldati, l’Attore con la ‘O’ chiusa. A pochi giorni dalla scomparsa di Franca Rame, se ne va un altro grande del teatro italiano e siciliano
È morto a Palermo Franco Scaldati. Aveva 70 anni, i modi burberi, un gran barbone bianco e una biografia da romanzo: frequenta la scuola solo fino alla quinta elementare, poi, ragazzo di bottega, a Palermo impara il mestiere di sarto. Esordisce al Teatro Biondo, dove per molti anni sarà anche maestro d’attori, recitando un testo […]
È morto a Palermo Franco Scaldati. Aveva 70 anni, i modi burberi, un gran barbone bianco e una biografia da romanzo: frequenta la scuola solo fino alla quinta elementare, poi, ragazzo di bottega, a Palermo impara il mestiere di sarto. Esordisce al Teatro Biondo, dove per molti anni sarà anche maestro d’attori, recitando un testo di Luigi Capuana, cui segue la prima opera scritta di suo pugno: Attore con la ‘O’ chiusa. È attore di cinema, partecipando ai film Kaos dei fratelli Taviani, L’uomo delle stelle e Baaria di Giuseppe Tornatore, I briganti di Zabut e Il giorno di San Sebastiano di Pasquale Scimeca. È però soprattutto la maestria della sua scrittura per la scena, spesso nobilitata da un impasto dialettale denso, straordinariamente musicale, antico e fragoroso, che vorremmo ricordare ora, attraverso il saggio Dispositivi dell’oralità di Valentina Valentini. Qui, la studiosa nota che le opere di Scaldati “colgono il divenire, il flusso di esistenze che si svolgono in uno spazio-qualsiasi e in un tempo incerto in cui non si sa se le azioni avvengano nel presente del qui e ora, se siano già avvenute e raccontate, o se siano immaginate o sognate”, non dimenticando di apprezzare il “marcato contenuto ritmico dei suoi testi teatrali, espresso con ripetizioni, antitesi, allitterazioni, pause, assonanze, invettive, epiteti”. Il che non può non far pensare a Postkarten, 49 di Edoardo Sanguineti, scritta in quegli stessi primi anni Settanta in cui Scaldati esordisce sulla scena: “e concludo che la poesia consiste, insomma, in una specie di lavoro: mettere parole come in corsivo, e tra virgolette: e sforzarsi di farle memorabili, come tante battute argute e brevi: (che si stampano in testa, così, con un qualche contorno di adeguati segnali socializzati): (come sono gli a capo, le allitterazioni, e, poniamo, le solite metafore): (che vengono a significare, poi, nell’insieme: attento, o tu che leggi, e manda a mente):”. Chissà se si sono conosciuti, in vita, l’attore-autore palermitano e l’intellettuale genovese, chissà se si sono mai incontrati. E chissà che storie, si sono (o si sarebbero) raccontati. Chissà che capriole, con le parole.
– Michele Pascarella
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