Un padiglione fluttuante, tra Giardini e Arsenale: per la loro prima volta alla Biennale le Maldive esorcizzano il precariato geografico che le vedrà sommerse entro il 2080. Con la regia di Alfredo Cramerotti e la presenza, tra gli altri, di Roberto Paci Dalò e Stefano Cagol

Meglio affrettarsi, perché se tutto va come inquinamento e riscaldamento globale vogliono che vada, tempo settant’anni e le Maldive non ci saranno più. Sommerse, un millimetro alla volta, dall’inesorabile innalzamento del livello del mare; tragica e inconsapevole traduzione moderna di un mito, quello di Atlantide, destinato a uscire dalla dimensione favolistica per farsi cronaca. Conviene […]

Meglio affrettarsi, perché se tutto va come inquinamento e riscaldamento globale vogliono che vada, tempo settant’anni e le Maldive non ci saranno più. Sommerse, un millimetro alla volta, dall’inesorabile innalzamento del livello del mare; tragica e inconsapevole traduzione moderna di un mito, quello di Atlantide, destinato a uscire dalla dimensione favolistica per farsi cronaca. Conviene spicciarsi, allora, per fissare una vacanza al caldo; ma anche per eleggere l’arcipelago a monumento effimero, totem in grado di rappresentare con la propria drammatica leggerezza il senso di spaesamento, disorientamento e precariato selvaggio che vive la contemporaneità. Svelate le linee guida e i nomi che daranno vita alla prima partecipazione delle Maldive alla Biennale di Venezia: in cabina di regia il collettivo curatoriale Chamber of Public Secrets, già all’opera in occasione della tappa spagnola di Manifesta; a firmare il progetto, dunque, Khaled Ramadan, Aida Eltoire e Alfredo Cramerotti. Due location distinte, una all’Arsenale e l’altra ai Giardini; oltre a diversi momenti di occupazione di spazi ulteriori: fedele al titolo dell’intervento, Portable Nation, si arriva alla partecipazione prêt-à-porter, con il palese e dichiarato esorcismo della prossima inesorabile nascita di un Paese fantasma. Che diventa piattaforma privilegiata dove misurarsi con quello che la curatela definisce “romanticismo ecologico”: un’indagine che trasporta su un piano di empatia estetica la riflessione sui temi del global warming e del delicato equilibrio tra uomo e ambiente. Non un padiglione stile Greenpeace, almeno non nelle aspettative: semmai un ambito dove leggere con sguardo diverso il tema del tempo, rielaborando il concetto di dissolvenza; nel rinnovarsi del braccio di ferro tra un’arte che guarda all’eternità e un’altra che vive nell’esclusività dell’attimo.
Già, ma i nomi? Recentissima la chiamata alle armi di un manipolo che, tra partecipazioni individuali e collettivi tocca  quaranta diversi soggetti. Ci sono i nostri Patrizio Travagli, Roberto Paci Dalò e Stefano Cagol, con quest’ultimo a collocare il suo Ice Monolith: suggestioni stile Kubrick per un dolmen in ghiaccio destinato all’inesorabile scioglimento, attorno cui elaborare talk e sessioni di confronto con filosofi, artisti, scienziati e curatori. La colonna sonora del padiglione è affidata alle composizioni originali di Paul Miller, presente in veste di Dj Spooky; tra gli altri ecco spuntare i nomi di Khaled Hafez, tra i primi a indagare le interrelazioni culturali tra il conservatorismo medio-orientale e le eccentricità della società dei consumi occidentale; e di Ursula Biemann, che ha fatto dell’analisi della mobilità di uomini, merci e culture il punto focale della sua ultima produzione.

Francesco Sala

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Francesco Sala

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