Teatro-danza in Biennale. Arriva in laguna la compagnia belga Peeping Tom di Gabriela Carrizo. Il contemporaneo? È ciò che verrà dopo quello che c’è

Il secondo appuntamento per gli incontri aperti al pubblico della Biennale Teatro 2012, inaugurati da Declan Donnellan, sposta l’attenzione dal teatro di regia al teatro-danza. Arriva in Biennale Gabriela Carrizo, fondatrice della celebre compagnia Peeping Tom. Trasferitasi a Bruxelles dall’Argentina, formatasi con Alain Platel e Jan Lauwers, la Carrizo guida il progetto insieme a Frank […]

Il secondo appuntamento per gli incontri aperti al pubblico della Biennale Teatro 2012, inaugurati da Declan Donnellan, sposta l’attenzione dal teatro di regia al teatro-danza. Arriva in Biennale Gabriela Carrizo, fondatrice della celebre compagnia Peeping Tom. Trasferitasi a Bruxelles dall’Argentina, formatasi con Alain Platel e Jan Lauwers, la Carrizo guida il progetto insieme a Frank Chartier, spinta dalla necessità di raccontare storie e costruire personaggi.
Ogni entità posta in scena appare come sviscerata, nell’intimo, da ogni singolo componente del collettivo, arrivando allo spettatore attraverso nuove modalità di rappresentazione scenica, capaci di rompere ogni confine tra le varie discipline artistiche, oltre ogni categorizzazione.
Improntato totalmente sulle orme della Postmodern dance, a tratti reazionario, il lavoro della compagnia coniuga clownerie, contact, teatro e cinema, concentrandosi in particolare su una determinata concezione del tempo e della tecnica di montaggio. La strada percorsa sembra essere in bilico tra innovazione e quella nuova tradizione fiamminga che dalla fine dei Novanta agli anni Zero ha dettato un canone estetico preciso, imponendo in tutta Europa un modo di pensare la danza. D’altronde, interrogata da Porcheddu su quale sia oggi la dialettica tra classico e contemporaneo, Gabrila Carrizo risponde: «Non mi piacciono le definizioni. Cos’è il teatro, cos’è la danza? Cos’è classico e cos’è contemporaneo? Io tendo a mescolare e sovrapporre i confini. Oggi, grazie alle telecomunicazioni, ad internet, ad una nuova modalità di intendere i rapporti umani, esiste una fluidità del tempo, un’impossibilità di mettere delle cornici alle cose ed è questa visione che influenza il mio lavoro e il mio modo di pensare. Quando abbiamo cominciato a lavorare per Le Salon abbiamo pensato che l’ambientazione costruita fosse il calco di una scena classica da teatro francese e invece è risultata perfettamente adeguata all’azione al suo interno si doveva svolgere. Credo che il contemporaneo sia ciò che verrà dopo quello che c’è adesso».

 – Matteo Antonaci

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