Il senso della maison Bulgari per l’arte. Fin’ora assai scarso, ma le cose cambieranno ora che l’azienda è francese?

C’è una notizia, ormai di qualche settimana fa, che è stata deflagrante nel mondo del Made in Italy e della nostra industria, ma della quale non si è parlato affatto nel mondo della cultura. Anche se questa notizia, ipoteticamente, magari fantasticando, qualche conseguenza positiva potrebbe scaturirle. La notizia è l’acquisto della maggioranza della società Bulgari, […]

C’è una notizia, ormai di qualche settimana fa, che è stata deflagrante nel mondo del Made in Italy e della nostra industria, ma della quale non si è parlato affatto nel mondo della cultura. Anche se questa notizia, ipoteticamente, magari fantasticando, qualche conseguenza positiva potrebbe scaturirle.
La notizia è l’acquisto della maggioranza della società Bulgari, campione nazionale italiano di gioielleria, lusso e orologi, da parte del gruppo LVMH. LVMH, acronimo che si legge di frequente nelle cronache finanziarie dei quotidiani di tutto il mondo, sta per Louis Vuitton Moet Hennessy: insomma una conglomerata che va dagli champagne (Moet&Chandon, ma anche Krug, Veuve Cliquot e Dom Perignon) ai superalcolici (la vodka Belvedere) passando per la moda (Kenzo, Donna Karan, Vuitton, Jacobs, Dior, Fendi, Pucci…), ai profumi (Guerlain, Acqua di Parma…) fino alla grande distribuzione. Il tutto fa capo al noto magnate francese Barnard Arnault, alter ego dell’ancor più noto – nel mondo dell’arte – François Pinault.
Essendo dunque passata – a caro prezzo – nelle mani di LVMH, Bulgari potrebbe finalmente cambiare il suo atteggiamento verso il mondo dell’arte. La domanda che infatti molti operatori si sono sempre posti è la seguente: perché se il più grande concorrente come Cartier ha sempre puntato ad affermare il proprio prestigio attraverso l’arte contemporanea (con una fondamentale fondazione e con la presenza a grandi eventi, ad esempio Art Basel), Bulgari ha sistematicamente trascurato questo settore? Perché se a Parigi uno dei musei più importanti della città si chiama Fondation Cartier, a Roma (o a Milano) non ci deve essere uno spazio museale che dia lustro e visibilità al più famoso marchio del lusso italico utilizzando la “scorciatoia” dell’arte e del suo immaginario?
Ora la questione potrebbe tornare d’attualità. Il nuovo padrone francese potrebbe porsi in maniera seria questa domanda. E potrebbe vedersi motivato a investire in immagine e valore aggiunto. Che è esattamente quel che deve fare un brand di lusso. Le premesse – che vedono Vuitton impegnata a predisporre un suo spazio espositivo per il contemporaneo ai Giardini della Biennale, a Venezia – non sono affatto da trascurare…

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Redazione

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