Restituire la bellezza di versi immortali, attraverso l’immagine in movimento. È la sfida dei cosiddetti “cinematic poems”, short film costruiti intorno a un testo poetico, lasciando che la narrazione lirica si sdoppi, tra il piano della parola e quello della visione. Un po’ come dei videoclip musicali, ma che alla canzone sostituiscono la poesia.
A volte i risultati sono deboli o leziosi, altre risultano più efficaci, sostenuti da una buona regia e da un intento delicatamente interpretativo, più che meramente illustrativo. Sono i casi in cui il cinema, con la sua connaturata potenza evocativa, si accorda con le infinite immagini potenziali, affollate sul bordo e all’origine della parola. Un duello tra il visibile e l’invisibile, in cui il terzo elemento determinante è costituito dalla voce umana: il racconto, scaldato dal timbro attoriale, accompagna il flusso filmico, offrendo corpo e fiato alla scrittura.
Un esempio di questo esercizio creativo è nel recente lavoro firmato dal filmmaker e fotografo americano David “Joseph” McCannon. Lo spunto è di quelli che fanno tremare i polsi: “La terra desolata” di Thomas S. Eliot. Primo libro – La sepoltura dei morti – per due estratti dai primissimi versi*. Capolavoro assoluto della letteratura americana modernista, pubblicato nel 1922 dopo una preziosa revisione di Ezra Pound, “The Waste Land” è un poemetto in quattro parti, una sinfonia sull’umanità, germogliata nel cuore di un periodo storico buio, ma attraversata da riferimenti senza tempo: una commossa, complessa, sperimentale riflessione sull’esistenza, la condizione spirituale dell’uomo moderno, le sue radici e il suo destino. All’ombra di solitudini, paure, passioni, peregrinazioni.

Il regista affida a Jeremy Irons, tra i più grandi attori britannici viventi, la lettura dei versi. Mentre la musica è quella dei Mogwai, ottima band post-rock scozzese, e dei God Speed You Black Emperor, gruppo di Montreal, anch’esso attivo in ambito indie, tra prog e post rock. Sonorità decadenti, rarefatte ed intimiste, riscaldate dalla voce straordinaria di Irons, mentre i versi del Poeta attraversano, nella bruma di un racconto crepuscolare, scorci di natura sbocciati tra le lapidi di un cimitero monumentale. La memoria solenne, la parola bruciante e l’occhio meditativo. Nel tempo sospeso in cui i vivi cercano i morti, cavalcando la vertigine e la melanconia.
Helga Marsala
*I. La sepoltura dei morti
Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia di primavera.
L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse
Con immemore neve la terra, nutrì
Con secchi tuberi una vita misera.
[…]
Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole,
E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L’arida pietra nessun suono d’acque.
C’è solo ombra sotto questa roccia rossa,
(Venite all’ombra di questa roccia rossa),
E io vi mostrerò qualcosa di diverso
Dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra
Vostra che a sera incontro a voi si leva;
In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.