L’Italia e il cinema italiano, secondo Carlo Verdone
Terzo incontro per il "Gioco Serio dell'Arte", organizzato da Lottomatica al Palazzo Barberini di Roma. Massimiliano Finazzer Flory ospita stavolta un'icona italiana, un mito della romanità, una personalità di estrema umanità: Carlo Verdone. Ecco cosa ci ha raccontato
Continuano gli incontri al Palazzo Barberini di Roma coi grandi protagonisti del cinema italiano. Il Gioco Serio dell’Arte, iniziativa di Lottomatica, arriva al terzo appuntamento, sempre in compagnia dell’host Massimiliano Finazzer Flory. Carlo Verdone è stato il protagonista della serata dello scorso 3 febbraio, e noi di Artribune siamo andati da lui, prima che si desse al nutrito pubblico in sala.
L’avevamo incontrato a Cannes l’ultima volta, dove era arrivato come membro del cast del discusso film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, adesso in lizza per gli Oscar; e rivederlo – confessiamo – fa sempre un certo effetto: una pagina fondamentale della storia del cinema e della commedia italiana e un uomo di estrema umanità e generosità. Un attore che si racconta sempre con umiltà (si dice che sia segno di grandezza, del resto), che guarda negli occhi l’intervistatore (cosa non di tutti), che risponde in maniera esauriente, con un tono dolce, sorridendo qua e là, mentre butta gli occhi in aria come qualcuno dei suoi personaggi a cui siamo affezionati. E mentre parla di sè, svelandoci in qualche modo chi siamo, ci parla delle cose che hanno reso unico, magico e irreplicabile il cinema italiano: voce autorevole sul tema, figlio di uno dei maggiori critici cinematografici nostrani e testimone d’eccellenza della storia della celluloide tricolore.
Così si intrecciano le leggende di Cinecittà, le vicende della storia italiana, quelle personali e quelle note alla grande audience. Un po’ di tristezza per quel che non c’è più, qualche battuta sorniona, la nostalgia di un mondo perduto, la speranza per quello che avranno in dote i suoi figli. Un confronto non facile, nella consapevolezza di avere di fronte chi conosce bene i vizi e le virtù degli italiani. Ma è lui, davvero, l’erede di Alberto Sordi? Una definizione che a Verdone non piace: due mondi diversi, due approcci distanti, con quel cinismo e quella comicità spietata del maestro, che nello sguardo più clemente dell’allievo non trova risonanza. E se invece provi a chiedergli chi potrebbe raccogliere il suo testimone, la reazione è eloquente. Non arriva nessun nome.
Un po’ commossi nell’averlo a un palmo dal naso, ci specchiamo nel suo sguardo, in fondo così malinconico, di quella malinconia che connota sovente i grandi attori comici e di commedia. La sensazione è di avvicinarsi a un mito: quasi ad aver conquistato un sogno d’infanzia, facciamo i conti un vago, inesplicabile senso di smarrimento. E parte l’intervista.
Federica Polidoro
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