
LE CARTE, IL SILENZIO
Il brusio e il movimento quieto e silenzioso della gente non riescono a offuscare la spazialità scarna che accoglie l’occhio e il corpo dello spettatore al suo ingresso in Stamen Papers. Un timido Michael Dean (Newcastle upon Tyne,1977) [il finalista del prossimo Turner Prize lo abbiamo anche intervistato, N.d.R.], ci concede gentilmente una passeggiata. Raccontando in modo pausato e lento qualcosa riguardo le sue “carte staminali” e il vuoto diventa più ridondante, acquisendo spessore plastico e fisicità. La riflessione sulla scultura, come sul testo e sullo spazio, si appropria dell’ambiente, producendo una fusione atonale fra lavoro e luogo.
Il silenzio incalza e si frattura nel primo dei due lavori che si incontrano; carte leggere contraddistinte da un’immagine ripetuta in modo ossessivo – difficilmente riconoscibile a una certa distanza – sono letteralmente spalmate su una parete angolare, ricreando l’effetto di un disordine simmetrico. Quelle carte, così eteree da un punto di vista tattile, assumono un peso inaspettato e referenziale.

LA FORZA, IL VUOTO
Stamen Papers rimanda all’etimologia botanica, secondo cui “stamen” è la parte del fiore coinvolta nella produzione del polline, dotato di un filamento e un’antera; osservando l’etimologia latina di stamina, essa sta a significare qualcosa che resiste, una forza vitale persistente. Sembrerebbe così più chiaro il bisogno di tutto quel vuoto intorno, che fa volume a dei pesi piccoli ma rilevanti, a quei mitra ripetuti in modo seriale e compatto.
Man mano che si procede, il vuoto torna. Poi quella sensazione scompare, incontrando il secondo e ultimo lavoro presente in mostra: una scultura simile a un iceberg che risorge all’interno di un ninfeo. Lontano dall’auto-celebrazione, il lavoro di Dean riserva un certo silenzio anche alla grande dimensione, il cui peso è percepibile in quei frammenti di testi evocativi, parole battute a macchina su carte sospese, sintomi di resistenze del linguaggio all’interno di uno spazio.
LA PAROLA
A un tratto, quasi in sordina, Michael Dean mostra un libro realizzato da lui stesso, “l’originale” di quei fogli messi insieme da una rilegatura di poco riguardo, poi strappati brutalmente e ricomposti in modo più o meno elegante. Così il desiderio di decostruire unità, già debole nei contenuti e nella forma, all’interno di un contenitore significante, si avvicina all’idea che recita uno dei frammenti testuali “symmetry of intimacy”, rivelando tutta la contingenza della parola.
Eleonora Milani
Roma // fino al 22 luglio 2016
Michael Dean – Stamen Papers
FONDAZIONE GIULIANI
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