Canova: Bruno raccontato da Lorenzo

Prorogata fino al 2 febbraio, al Casino dei Principi a Villa Torlonia, la mostra “Bruno Canova. La memoria di chi non dimentica”, significativo tributo all’artista bolognese. Una selezione di bassorilievi, disegni, quadri per far conoscere ancora meglio la sua arte, la sua vita drammatica e il suo impegno etico-sociale. Ce ne parla un accompagnatore d’eccezione, Lorenzo Canova, docente di arte contemporanea, critico d’arte, curatore e figlio di Bruno.

Non celebra gesta esaltanti, La colonna infame, in fondo alla prima sala. Nel bassorilievo in pasta acrilica, sono cesellati: forni crematori, camere a gas, strumenti di tortura, forche e dispositivi per l’eccidio di massa. Un armamentario, sparso lungo l’asse del tempo, per definire i contorni brutali d’ogni guerra. Sono gli eventi storici del secondo conflitto mondiale, e le scelte politiche che li generarono, il tema cardine della mostra di Bruno Canova (Bologna, 1925 – Lacco Ameno, 2012). Lavori di notevole intensità drammatica, che coniugano forza espressiva con raffinata qualità di esecuzione, allestiti con efficacia lungo il percorso espositivo.
Basata sull’atrocità dello sterminio nazifascista è L’arte della guerra, una raccolta di tavole organizzata cronologicamente (dalla nascita del fascismo alle leggi razziali passando per le persecuzioni degli ebrei e la Shoah, fino alla Liberazione). Opera straordinaria, realizzata in prevalenza tra i Sessanta-Settanta, ma in realtà proseguita dall’artista nell’arco dell’intera vita: “Testimoniare attraverso le arti visive una delle pagine più sconvolgenti della storia, prendendo a riguardo una posizione chiara, per mio padre ha sempre rappresentato un impegno etico, una responsabilità sociale”, spiega Lorenzo Canova, organizzatore della mostra e figlio dell’artista. “Temeva che le generazioni future ne perdessero la memoria, così negli anni il progetto ‘L’arte della guerra’ è diventato un libro e una mostra itinerante ospitata in 32 città italiane”.
Ecco allora, da quel corpus, una trentina di lavori in grafite e tecnica mista su carta (applicate su lastre di zinco), costruite sul doppio registro di parola-immagine.

Bruno Canova, La cosa immonda, 1974

Bruno Canova, La cosa immonda, 1974

Agghiaccianti scritti, proclami e documenti originali sono accostati a disegni, intersecando il livello di lettura della realtà storica con quello simbolico e/o dell’immaginario mitico. Illustrazioni di sciabole, baionette, cannoni, armature, balestre, uniformi svastiche, edifici del potere e ciminiere fumanti si addensano nel grigio dello sfondo. L’uomo è del tutto assente, se non in non forma di cadavere scarno, o di scheletro.
Riferimenti all’iconografia della morte, dal tardo Medioevo, come Tristo Mietitore, scheletro incappucciato o danzante o apocalittico che allude al memento mori o alla più tarda vanitas, si intrecciano alle suggestioni evocate dai siti come Auschwitz, ma anche Pompei, le catacombe dei Cappuccini a Palermo, la chiesa dell’Orazione a Roma: “Visite a luoghi e libri credo che abbiano influito sulla cultura dolcemente aspra di Canova”, scrive Maurizio Calvesi, ideatore e curatore della mostra.
Ancora, lo scheletro alato, può richiamare l’immagine de I peccati capitali di Ensor che unisce l’abilità incisoria del conterraneo Rembrandt al gusto satirico di Bosch e Bruegel. Sempre nella serie, alcune figure umane scarnificate, con le bocche nere semiaperte (assimilabili agli studi canoviani delle catacombe dei Cappuccini, anch’essi in mostra), hanno la potenza evocativa de Nous ne sommes pas les derniers di Zoran Mušič, dove l’artista goriziano trasforma in disegni l’inferno della prigionia nel campo di concentramento di Dachau. Anche Canova patisce la prigionia (come apprendiamo da Lorenzo, che ne cita l’autobiografia ancora inedita), “scampato a un bombardamento, sceglie di impegnarsi attivamente creando un nucleo partigiano. Tradito e arrestato, nel 1944 è internato in un lager tedesco a Brüx nel Sudetenland”. Sopravvissuto a quell’orrore, grazie alla fuga, Canova attraverso la sua arte di incisore e pittore si sforza di oggettivizzare quell’esperienza estrema, contrapponendola a ogni possibile revisionismo storico e/o strategia interpretativa negazionista.

Bruno Canova, Terezin, 1972

Bruno Canova, Terezin, 1972

Mio padre non costruisce le sue opere come narrazione di vissuti personali”, chiarisce Lorenzo, ma sceglie il linguaggio artistico, con il rigore storico di un ricercatore. Raccoglieva ritagli di giornale, manifesti dell’epoca, fotografie, lettere e dava loro vita accanto a frammenti disegnati, col metodo del montaggio simultaneo”. Nei grandi collage in mostra – tra i quali La cosa immonda (1974), Aggiornamento dello schedario degli ebrei (1998), Roma liberata (2000) – risulta evidente la sua formazione d’avanguardia, correlata alla grafica di Albe Steiner, Max Huber e alla fotografia di Luigi Veronesi, insieme a una personale reinterpretazione del collage futurista e dadaista.
Un altro tema canoviano, La Strage degli Innocenti, altamente simbolico, è elaborato in varie versioni e con tecniche differenti. Nell’acquaforte in mostra, al centro del vortice che trascina con sé pezzi di bambole rotte, spicca la figura di Erode come divinità velata. Mentre nell’acrilico su tela, la figura scompare e nel desolante vuoto si erge un albero della cuccagna, di matrice boschiana (fa notare nel testo in catalogo Sonia Gentili). La figura velata riappare nella grande opera in pasta acrilica su legno (1990), ma accanto alle bambole smembrate, qui sono sparpagliate macerie (come nell’acquaforte Appunti su Roma, 1980-98), oggetti vari e giocattoli distrutti che sembrano riecheggiare l’infanzia spezzata dell’autore: “Da bambino aveva trascorso una vita serena e spensierata a Bologna”, racconta ancora Lorenzo, “che d’improvviso fu stravolta dalla malattia del padre e dal sofferto internamento in un istituto rieducativo”.
Infine ne La strage degli innocenti 2 (grande natura morta), acrilico su tela del ‘90, da un cielo illividito pendono carni di animali squartati. Richiamo alla società dei consumi che trasforma l’energia creatrice della vita in distruzione. Dipinto di grande impatto, può trovare consonanze iconiche e di senso a partire da La bottega del macellaio di Aertsen passando per il Bue Macellato di Rembrand fino alla carcassa di Soutine e la Crocifissione di Bacon.

Bruno Canova, Razzismo italiano, 1996

Bruno Canova, Razzismo italiano, 1996

Visitare questa mostra è un irrinunciabile arricchimento visivo-emotivo e didattico che aiuta a non dimenticare. Quelle di Bruno Canova “sono opere degne di costituire il nucleo artistico di un museo dedicato alla memoria della Shoah e agli orrori della guerra”, afferma Calvesi. Intanto, Lorenzo ci comunica una notizia ormai ufficiale: “Nel maggio 2015 una grande mostra retrospettiva su mio padre sarà completamente organizzata e finanziata da un bellissimo museo francese, l’Espace d’art contemporain des anciennes écuries des ardoisières a Trelazé nella regione dei Paesi della Loira”. Un auspicio che siano sempre meglio conosciuti l’arte e l’impegno di chi, disceso negli abissi dell’umanità, si è fatto testimone di quel periodo buio, per fare si che in futuro non si ripetano simili barbarie.

Lori Adragna

Roma // fino al 2 febbraio 2014
Bruno Canova – La memoria di chi non dimentica
a cura di Maurizio Calvesi
Catalogo Maretti
CASINO DEI PRINCIPI – VILLA TORLONIA
Via Nomentana 70
[email protected]  
www.museivillatorlonia.it

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Lori Adragna

Lori Adragna

Lori Adragna nata a Palermo, vive e lavora a Roma. Storico dell’arte con perfezionamento in simbologia (Arte e simboli nella psicologia junghiana). Critico e curatore indipendente, dal 1996 organizza mostre ed eventi culturali per spazi privati e pubblici tra cui:…

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