Il curatore Jörg Heiser cuce un ciclo di mostre sulla pelle di Napoli. Fonde le parole del filosofo Gianbattista Vico con l’ibridismo contemporaneo e il passato multietnico della città partenopea. Gli artisti Matheus Rocha Pitta e Klaus Weber accolgono la sfida e rispondono in modo personale al dialogo con la città e con il presente, partendo da culture diverse: quella del luogo (ospitante) e quella della propria esperienza (ospitata). Entrambi restituiscono attraverso opere allegoriche e fantasmatiche “l’ordine delle cose”.
L’ordine delle idee di Matheus Rocha Pitta (Minas Gerais, 1980; vive a Rio de Janeiro) muove dalla stratificazione delle immagini e dell’accordo con la realtà. L’artista restituisce l’allegoria di tale accordo (The Agreement) attraverso un particolare operare, rivestendo di cemento materiali di recupero e ricavando questa pratica dalle modalità di sepoltura delle zone più povere del suo Paese. Ricopre l’armatura di legno con fogli di giornale, abbandonando all’interno dell’opera una matrice nascosta e da leggere. All’esterno, in superficie, incolla immagini ricavate da quotidiani, per lo più legati a gesti d’intesa. Gesti che mostrano la propria ambiguità.

La sala sotterranea diventa cripta che accoglie l’umano accordo con la vita nelle sue immagini e con la morte nella forma in cui esse si definiscono. La scelta della tecnica e i gesti esposti si intrecciano con la città: nella zona di Napoli infatti i greci e i romani utilizzarono la pozzolana; ancora a Napoli, antiche steli funerarie greche ritraggono il defunto proteso verso la divinità. L’ordine delle idee di Klaus Weber (Sigmaringen, 1967; vive a Berlino) muove dall’uso del calco e dal rapporto diretto con gli episodi della vita. Protagonista è l’uomo sdraiato che legge il giornale e posto su una superficie specchiata. Lo specchio riflette la pagina di giornale: la realtà è al di sotto, il calco è il negativo, la superficie è illusoria e solo all’interno troviamo tracce di verità (capelli, rossetto, e nel caso di un gatto il suo pelo). Agemo – omega al contrario e titolo dell’opera – è l’indizio, da seguire attraverso le figure che si mostrano: un gatto che cammina, la porta di un garage, un ubriaco appoggiato al muro, una coppia distesa su una coperta di Burberry. Figure che si riallacciano al contesto urbano; gli stessi calchi sono stati fatti su persone della città, nello stesso luogo che ci ha restituito con la sua storia e la sua potente e vulcanica natura i calchi umani della civiltà romana.

Infine: l’ingannevole, da rivoltare come un guanto, è riproposto in Phantom Box, scatola con specchio e fori, in analogia a quella utilizzata in ambito medico per attenuare l’effetto psichico e post-traumatico della perdita di un arto. E la scatola di Weber trova l’accordo di Rocha Pitta nell’atto di mostrarci le mani, nel gesto che ci restituisce la mano fantasma.
Sonia d’Alto
Napoli // fino al 2 dicembre 2013
Hybrid Naples #3 – Matheus Rocha Pitta / Klaus Weber
a cura di Jörg Heiser
FONDAZIONE MORRA GRECO
Largo Avellino 17
081 210690
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