Presicce e le cupole di Gagliano del Capo

Luigi Presicce torna in Puglia per un appuntamento one-on-one. Ovvero soli, uno alla volta, con l’arte. Nel magnifico giardino di Palazzo Daniele. Vi raccontiamo la performance di Gagliano del Capo.

Con la performance Le Tre Cupole e la Torre delle Lingue del 27 luglio scorso, prosegue il ciclo Le storie della Vera Croce, ideato da Luigi Presicce nel 2012 e ispirato alla leggenda del sacro legno abbattuto da Re Salomone per costruire il Tempio di Gerusalemme e poi utilizzato per la Croce di Gesù.
Il progetto, ricco di simboli, metafore e allegorie, rientra nel più ampio tentativo dell’artista di riflettere sui bisogni dell’uomo e della sua continua ricerca verso l’immateriale. La scelta e la visione dell’antico, spiega l’artista, “non è né critica né cronistica, ma è un pretesto per parlare della modernità, continuare la tradizione della narrazione e imparare secondo le modalità dell’allegoria”.
La performance è stata organizzata da Capo d’Arte – associazione composta da Francesca Bonomo, Tiziana Frescobaldi, Francesco Petrucci e Mirko Pozzi -, che dal 2010 ha riunito a Gagliano del Capo artisti internazionali e talenti pugliesi in tre mostre collettive curate da Ludovico Pratesi.

Luigi Presicce, Le Tre Cupole e la Torre delle Lingue, Gagliano del Capo, 27 luglio 2013, performance

Luigi Presicce, Le Tre Cupole e la Torre delle Lingue, Gagliano del Capo, 27 luglio 2013, performance – photo Jacopo Menzani

Nella performance, Presicce ha affiancato due episodi biblici che presentano la stessa iconografia: nel primo, Re Salomone visita i lavori al tempio di Gerusalemme; nell’altro, il superbo Re Nembrot quelli della Torre di Babele. In entrambi gli episodi sono presenti gli scalpellini che squadrano le pietre per la costruzione.
Accompagnati per mano nel silenzio assoluto di un agrumeto d’estate, gli spettatori attraversano un passaggio più stretto fino alla Kaffehaus per assistere, uno alla volta e per circa due minuti, alla performance. A questo punto, nel tableau vivant le vicende dei tre personaggi principali – Re Salomone, la regina di Saba e Hiram Abif, l’architetto egiziano che costruì il Tempio di Salomone a Gerusalemme – s’intrecciano in un’infinità di piani allegorici e simbolici. L’artista è seduto con una cupola in testa (è l’attuale Cupola della Roccia) e l’Arca dell’Alleanza tra le ginocchia, come fosse allo stesso tempo Re Salomone e la personificazione del Tempio; al suo fianco la leggendaria Regina di Saba, vestita di nero, ricoperta di peluria e con una zampa caprina, che in visita a Gerusalemme incontrò il Re e ne rimase affascinata. La storia racconta che Menelik, il figlio nato da questo incontro, divenuto re di Etiopia, trafugò l’Arca dell’Alleanza per portarla in Africa.
Ai piedi del Re, in ginocchio, l’architetto Hiram Abif vestito di bianco, simbolo massonico del Grande Maestro, colui che conserva i segreti della costruzione architettonica e spirituale. Il suo doppio dirige invece i sei scalpellini che lavorano alle pietre per la Torre di Babele: ognuno di loro batte con un ritmo diverso per creare un’armonia sincopata che stravolge lo spazio, “una melodia insieme orchestrale e matematica”, spiega l’artista. I suoni rappresentano le mille lingue che Dio creò per punire gli uomini della loro superbia e impedirgli così di portare a termine la costruzione della Torre.

Luigi Presicce, Le Tre Cupole e la Torre delle Lingue, Gagliano del Capo, 27 luglio 2013, performance

Luigi Presicce, Le Tre Cupole e la Torre delle Lingue, Gagliano del Capo, 27 luglio 2013, performance – photo Jacopo Menzani

Nella lettura simbolica dell’opera esiste anche un secondo piano di analisi, più che altro architettonico, legato alle analogie stilistiche di tre diverse cupole: la Cupola della Roccia, la cupola della Kaffehaus che ospita la performance e la Grosse Halle progettata da Albert Speer, l’architetto del Terzo Reich qui impersonato da Hiram Abif in ginocchio ai piedi di Re Salomone mentre disegna un modellino.
Come sempre nella ricerca di Luigi Presicce, anche questa volta si tratta di attraversare la scena della performance come fosse un’iniziazione. Un lavoro complesso ma insieme potente, diretto, intimo e inevitabile. L’opera, conclude l’artista, “è lì come fosse un’apparizione, lo spettatore è favorito dall’essere solo così che la visione dell’opera d’arte possa essere più concentrata, meditativa e allo stesso tempo astratta”.

Michela Tornielli

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Michela Tornielli di Crestvolant

Michela Tornielli di Crestvolant

Michela Tornielli di Crestvolant, Ph.D., direttrice della Galleria Giustini / Stagetti, vive a Roma.

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