Cinque maestri in cerca d’ispirazione a casa di Peggy

Luca Massimo Barbero ripercorre le sperimentazioni post-Informale di Fontana, Dorazio, Castellani, Scheggi e Aricò. Le indagini pittoriche, spaziali e monocromatiche, dei cinque maestri italiani scandiscono le sale del Guggenheim di Venezia fino al 15 aprile.

Assuefatti dalle esasperazioni espressive e gestuali dell’Informale, i cinque artisti selezionati da Luca Massimo Barbero, fin dai primi anni Sessanta si indirizzano verso nuove ricerche analitiche, senza perdere di vista ciascuno le proprie peculiari scelte stilistiche.
La pittura sembra voler riscoprire le proprie valenze oggettuali, come nel caso di Concetto spaziale, I Quanta (1960) di Lucio Fontana, che apre il percorso espositivo come padre delle nuove ricerche. Le nove tele di un puro monocromo rosso esibiscono insolite forme geometriche e sono perforate dai celebri tagli e buchi, sintomi dell’imminente passaggio dal bidimensionale al tridimensionale. Lo sfondamento della superficie indaga lo spazio, come anche la stessa occupazione delle tele alla parete, tanto da insinuare il dubbio: si tratta di pitture o di sculture?
Si prosegue in ordine cronologico, e nella seconda sala, dedicata a cinque opere di Piero Dorazio, l’occhio dello spettatore viene catturato dalla tela, grande quanta la parete, Durante l’incertezza (1965). Si tratta di una griglia di colori, resi ancora più intesi dalla luce che caratterizza tutte le opere dell’artista. Il fitto intrecciarsi dei sottili filamenti colorati sembra svanire sui bordi della tela, interrompendo quella magica sensazione di movimento che il denso reticolo sembra suggerire. Per Dorazio “luce e movimento sono l’essenza della realtà, tutto il resto è illusione, apparenza…”.

Enrico Castellani, Superficie bianca, 1974

Enrico Castellani, Superficie bianca, 1974

Con Enrico Castellani riprendono poi quelle indagini spaziali – cominciate  da Fontana – che fanno pensare alla pittura come ad un oggetto a tre dimensioni. Le estroflessioni ed introflessioni delle sue opere, dovute alla presenza nascosta di chiodi puntellati sulla tela, animano la superfici “trapuntate” con luci ed ombre, creando effetti ogni volta diversi. Un linguaggio personale e poetico, fatto di sporgenze plastiche e ritmi dinamici.
L’esposizione prosegue con l’omaggio a Paolo Scheggi, artista toscano, morto prematuramente, ma tutto da riscoprire. Le sue Intersuperfici monocrome sono composte da tre tele sovrapposte, ciascuna delle quali presenta delle aperture circolari o ellittiche. Il gioco di incastri anima piacevolmente le superfici, che emergono con forza dalle singole pareti, dipinte in allestimento in modo tale da far risaltare con maggior vigore quei bianchi, neri, e rossi, che tanto piacevano a Lucio Fontana.
La mostra si conclude con le due sale dedicate alle shaped canvas di Rodolfo Aricò. Il rigore formale delle sue tele sagomate è alleggerito dalle vivide cromie, nonostante anch’esse, come le forme, si riducano all’essenziale. La sua pittura oggettuale sembra percorrere un viaggio a ritroso, alla scoperta di una geometria intuiva che possa ricostruire totalmente lo spazio. In questa ricerca all’essenziale, l’artista finisce addirittura per approdare alla prospettiva rinascimentale di Paolo Uccello, a cui dedica una delle sue opere (L’oggetto tenebroso di Paolo Uccello, 1970).

Elisabetta Allegro

Venezia // fino al 15 aprile 2013
Postwar. Protagonisti italiani
a cura di Luca Massimo Barbero
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
Dorsoduro 701
041 2405411
[email protected]
www.guggenheim-venice.it

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Elisabetta Allegro

Elisabetta Allegro

Elisabetta Allegro (Camposampiero, 1985, vive a Padova) è neolaureata in Arti Visive (Laurea Magistrale) all’Università di Bologna. Ha studiato Storia e Tutela dei Beni Culturali presso l’Università di Padova ed ha seguito il Corso di Art Management tenuto dal Centro…

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