“Io lavoro con l’impotenza, con l’ignoranza”, ha scritto Samuel Beckett. Ebbene, il videoartista spagnolo Carles Congost (Olot, 1970; vive a Barcellona) potrebbe dire: “Io lavoro con le immagini, per far vedere una storia che procede solo per fallire”. Era così per i precedenti video intessuti di un umorismo acido, di sequenze scomposte, di The end paradossali. Lo è ancora di più per quest’ultimo (Paradigm), anche se, a prima vista, potrebbe far pensare al calco di un film poliziesco americano: una vettura sospetta, due sbirri, l’immancabile ispezione.
In realtà tutto è sempre sul punto di accadere, ma non accade mai. E anche se Congost ricorre alla tecnica del ralenti, nell’intento di dilatare il processo narrativo, l’occhio non trova varchi per entrare nel segreto della scena. È come per l’ingrandimento fotografico: ampliando, non si fa che ampliare “la grana della carta” e disfare l’immagine. Anche in Paradigm non si arriva a chiarire gli sguardi e i gesti dei personaggi, ma solo a scoprire che c’è qualcosa di indicibile dietro ogni immagine.
Così quella di Congost diventa la filosofia della verità nascosta, della traslazione continua di senso. Perchè i due personaggi fermati sembrano scambiarsi il ruolo di colpevoli? Perché i due poliziotti all’inizio minacciosi e autoritari si rivelano poi di una sensibilità melodrammatica? Soprattutto perché l’inquietudine che attraversa l’intero video si apre alla fine a una sorta di festoso “gaudeamus” che trascina nell’happy end un gruppo di bambini? Forse Congost vuole alludere all’Altro che è in noi, all’inconscio: a ciò che non è riconducibile a un’idea chiara e distinta, a ciò che noi non nominiamo nemmeno a noi stessi quando ci definiamo.
Luigi Meneghelli
Verona // fino al 15 settembre 2012
Carles Gongost – Paradigm
ARTERICAMBI
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