Che fanno i romani quando non sono a Roma? Ce lo spiegano quelli di Los Angeles

È sufficiente riunire un grappolo di romani - magari d’adozione - per far reggere una mostra? Se poi la si porta addirittura a Los Angeles... Fino al 21 maggio, l’esordio nelle arti visive del nuovo Istituto di Cultura Italiana.

Quando sei a Roma, fai quello che fanno i romani”. Dunque, che fanno i romani? La speculazione artistica al riguardo potrebbe essere chiarita facendo visita all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles che, insieme al vicinissimo Hammer Museum e con la partecipazione di LA>When in Rome. Una rassegna che nasce dall’idea del curatore Luca Lo Pinto e di Valerio Mannucci, editori di Nero Magazine: raccogliere i lavori degli artisti maggiormente associati con la città di Roma e creare una sorta di rappresentanza da esporre in un contesto decisamente diverso come quello di Los Angeles.
Non ci sono particolari elementi che definiscano un denominatore comune, né età, né il linguaggio. L’unico collante, per così dire, è il fatto di essere “romani”. Lo scopo pare proprio essere, secondo gli organizzatori, quello di enfatizzare l’individualità di ogni artista invitato, senza necessariamente raccontare la loro identità collettiva legata a un determinato territorio. Los Angeles, in effetti, è il simbolo della deterritorializzazione, contesto ideale per ragionare su finzione e realtà. I lavori in mostra, in questo senso, si estendono oltre i confini legati all’ambiente della loro creazione, per ricollocarsi in uno spazio determinato dall’immaginazione.

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Luigi Ontani - photo Elon Shoenholz

L’esposizione ha previsto una performance di Luigi Ontani, il quale, insieme ai lavori di altri artisti storici come Boetti, De Dominicis, Prini e Lo Savio, rappresenta quasi una base da cui partire per meglio interpretare le opere della nuova generazione. Luigi Ontani è stato dunque un polo attrattivo durante l’inaugurazione, aperta da una processione in maschera, tra le vie di Westwood, con tredici figuranti, per poi ritornare nel cortile interno dell’Hammer Museuum e dar forma a un grande tavolozza di petali di fiori, sulla quale ognuno si è posizionato come se fosse un pigmento. A fare da sottofondo a questo tableau vivant, musica d’ispirazione balinese. Ontani pare abbia tratto ispirazione da Bali per creare un’illusione fantastica tramutata in realtà in qualche modo ed espressa proprio dalla realizzazione di ogni maschera utilizzata nella performance.
A seguire, l’opening reception all’Istituto, durante la quale tutti aspettavano di scoprire dove e quale fosse la seconda performance. L’evento è stato, per il nuovo direttore Antonio Di Mauro, il primo importante appuntamento, e gestito con grande entusiasmo. Infatti, pochi si aspettavano che, a seguire la raffinatezza di Ontani, fosse la performance di Emiliano Maggi nel parcheggio sotterraneo dell’edificio. Circondato da auto posteggiate e da una moltitudine di persone curiose di capire di cosa si trattasse, Maggi, con una bizzarra parrucca bionda e il volto coperto da una specie di garza, inizia a produrre suoni terrificanti come se fosse il richiamo di una sirena per Ulisse e, a un certo punto, vomitando sangue e occhi.

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La performance di Emiliano Maggi - photo Elon Shoenholz

Risaliti dagli inferi, tra vari personaggi istituzionali e qualche celebrità nostrana, si può dare inizio alla visione delle opere. Fra le tante, una serie di foto di Rä di Martino, No More Stars, che rappresenta un campo meno familiare dei suoi rinomati video, ma non meno interessanti, intelligenti e di una bellezza indiscutibile. Le foto mostrano quel che rimane dei set cinematografici, come se fossero resti di antiche civiltà (serie di cui abbiamo già parlato qui su Artribune, visto che è il soggetto della personale in corso da Monitor). Sempre di Rä di Martino, grazie all’organizzazione non profit LA> Tra i lavori dei “giovani”, Manfredi Beninati e uno dei suoi quadri in cui i personaggi, in questo caso una bambina in un prato, sembrano essere scrutati a distanza da dietro un velo o una finestra immaginaria. V’è poi un’installazione di Elisabetta Benassi e altri lavori di Nicola Pecoraro, Cesare Pitroiusti, Marco Raparelli e Corrado Sassi. “Mille lavori per mille differenti tecniche, idee, concezioni artistiche”. L’impressione è quasi che ognuno parli in una stanza nello stesso momento, ognuno nella sua lingua, ognuno dicendo ciò che crede importante.
In programmazione, infine, una serie di film. Primo fra tutti, l’immancabile e in questo caso quasi fin troppo simbolico Roma di Fellini.

Leonardo Proietti

dal 20 aprile al 21 maggio 2011
When in Rome
a cura di Luca Lo Pinto in collaborazione con Valerio Mannucci
Istituto Italiano di Cultura
1023 Hilgard Avenue – 90024 Los Angeles

Info: tel. +1 310 4433250; [email protected]; www.iiclosangeles.esteri.it

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Leonardo Proietti

Leonardo Proietti

Leonardo Proietti (1978) finisce la sua carriera scolastica in Italia in farmacia (controllo qualità) per iniziare collaborazioni come critico d’arte e seguire progetti curatoriali sia in Italia (Gheisha Paint Project, 2007) che a New York (Dream Therapy, 2008) dove si…

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