Quando la cultura invecchia: servizi e strumenti contro l’obsolescenza dei contenuti
Tempo e cultura? non solo una questione tecnica ma anche emozionale; perché il passare degli anni oltre a mettere alla prova supporti e dati materiali, indebolisce la potenza emotiva e sensoriale delle opere il cui messaggio è sempre legata al contesto di creazione...

Il rapporto tra tempo e cultura in genere è definito in termini “materiali”. Ci si preoccupa degli effetti del tempo sulle opere d’arte. Si restaurano pellicole, si digitalizzano archivi.
Si tratta di una condizione interessante, perché se la maggioranza delle riflessioni sulla cultura si concentrano sulle dimensioni simboliche e immateriali, il rapporto tra tempo e cultura si concentra invece quasi esclusivamente su quelle dimensioni materiali e di “supporto”.
Raramente invece si pensa a quanto un prodotto culturale, che si tratti di un’opera letteraria o filmica, possa realmente invecchiare nel contenuto o nella forma espressiva.
Tempo e cultura un rapporto in termini di contesto oltre che di supporto
Ognuno di noi può immaginare cosa significò il primo assolo di chitarra di Jimi Hendrix. Nessuno di noi può però realmente “esperirlo”, “viverlo”. Quel suono che, depurato dalla sua potenza graffiante oggi è presente in moltissime canzoncine pop, ebbe allora una potenza che non può essere realmente percepita. Si può ascoltare un vecchio disco, apprezzarne i contenuti, avere nei suoi riguardi un rispetto reverenziale, ma non è possibile ascoltarlo azzerando l’insieme di ascolti che, da quel disco in poi, sono entrati a far parte del nostro bagaglio culturale. Il punk dei Ramones, il minimalismo di Terry Riley, ma anche l’avvento dei Take That, la Sugar Hill Gang, l’Orfeo di Monteverdi o il Tristano e Isotta di Wagner.
Una condizione di questo tipo può parimenti essere immaginata per altre espressioni culturali e creative. Nel cinema, ad esempio, è difficile pensare di guardare Quarto Potere, o anche soltanto Pulp Fiction o anche titoli meno roboanti, come Crash di Cronenberg o Avatar, annullando completamente la nostra cultura visiva.
Si tratta di una condizione talmente evidente da essere del tutto ovvia. Ma la distanza che separa i Take That dalla trap misura il nostro cambiamento culturale, e andrebbe probabilmente messa maggiormente a fuoco, non solo come riflessione teorica, ma come elemento fondante della narrazione culturale.

L’importanza del contesto nella fruizione culturale
Quando pensiamo all’arte, ad esempio, e a tutti i servizi che vengono forniti ai visitatori per la descrizione di un’opera, è raro che si mettano i visitatori nella condizione di comprendere realmente cosa stanno guardando. Come per ogni produzione culturale, ci sono dei capolavori che, in quanto tali, difficilmente perdono la propria forza. Tuttavia, per ogni capolavoro ci sono migliaia di opere minori dotati di segni, sensi, accortezze, che raccontano pienamente un’epoca e che, invece, diventano un semplice “raccordo” tra un capolavoro e l’altro nei grandi musei.
Eppure è impossibile “sentire” Velázquez, senza conoscere il contesto storico e creativo in cui dipingeva. É inconcepibile Picasso. É destabilizzante Duchamp. L’umorismo dei Monty Python raramente susciterà in ragazzo nato nel 2000 le stesse reazioni che suscitarono nel 1970.
Quando si guarda un film, si ascolta una musica, si osserva un’opera o si legge un libro, lo si vive con un bagaglio di elementi culturali completamenti diversi da quelli del suo contesto di creazione e di fruizione. Quindi, nella maggior parte dei casi, non si riesce a cogliere l’opera nella sua dimensione contenutistica più semplice e pura.
L’AI per ripristinare e preservare il rapporto tra tempo e cultura
Oggi, però, ci sono degli strumenti che potrebbero aiutare gli spettatori di ogni forma d’arte a colmare sensorialmente la distanza tra il nostro bagaglio culturale generale e il contesto di creazione dell’opera.
Per i film sulle piattaforme, ad esempio, basterebbe programmare un’intelligenza artificiale in grado di sviluppare un breve quadro di riferimento sui relativi contesti di produzione. Lo stesso si potrebbe fare per audiolibri e album musicali. Si verrebbero così a creare dei contenuti, che andrebbero potenzialmente ad arricchire la comprensione sensoriale delle opere. Dato che anche chi ha una buona cultura specifica, magari conosce l’inquadramento storico, ma sempre in termini di nozioni non di esperienze.
Blow-up è un film magistrale. E conoscerne le ragioni ne rende più piacevole la fruizione dal punto di vista intellettuale non visivo ed esperienziale. Elementi che, però, sono centrali nel prodotto audiovisivo e cinematografico in particolare. Si tratta di una dimensione in più che, ad esempio, la stessa RAI potrebbe sviluppare combinando il lavoro dell’IA a quello di professionisti in grado di declinarne al meglio la potenza di calcolo. Un servizio, che la stessa RAI potrebbe perfezionare e vendere anche alle altre piattaforme, di musica e video, avviando quindi un percorso di reale posizionamento anche a livello internazionale.
L’innovazione in rapporto con la realtà? Un vero valore aggiunto
Il punto è che, quando si parla di innovazioni, si guarda più alle specifiche tecniche e meno alle esigenze reali. E questa è una guerra impari, perché se tutta la battaglia è sulla tecnica, vincerà sempre chi ha maggiori capitali. Chi non ha capitali, piuttosto che cercare di imitare i leader, potrebbe ragionare sull’esistente e adoperare gli strumenti disponibili per rispondere ad un bisogno reale. Chi guarda un film, soprattutto se over 30, vuole vedere un film “bello”, che lo appassioni e lo stimoli. Se fosse disponibile un’introduzione leggerissima ai film, in grado di evocare più che illustrare lo stato dell’arte all’epoca dell’uscita, volta a renderne più appagante la fruizione è altamente probabile che gli utenti possano esserne lieti di fruirne. E così come per i film per tutti i prodotti culturale, anche quelli che, effettivamente, invecchiano.
Stefano Monti
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