Il senso dell’emulazione e i sensi mancanti. La mostra virtuale su Joan Miró al Centre Pompidou di Parigi

La mostra di Miró al Centre Pompidou di Parigi è uno straordinario apripista e una forma di legittimazione per le gallerie virtuali.

In tempo di pandemia le gallerie virtuali si confermano una risorsa importante: pur con i loro limiti, offrono la possibilità di visitare le mostre anche durante i lockdown. E non è poco. Naturalmente non tutti sono dell’idea che le gallerie virtuali rappresentino un toccasana, e per qualcuno sono soltanto un placebo. I detrattori hanno gioco facile nel contestare le mancanze, e fanno riferimento ai grandi classici dei virtual-scettici, che si sentono evocare energicamente, con piglio censorio, dai tempi ormai lontani del boom di Second Life.

MOSTRE VIRTUALI E FUTURO

Le obiezioni sono sempre quelle: in uno spazio virtuale è assente il senso tattile, non c’è il gusto e non c’è l’olfatto. Nel caso di una mostra d’arte, poi, oltre a non poter toccare né annusare l’opera si resta anche digiuni dell’aura: sono esposte solo delle immagini in alta risoluzione, che non comunicano il tempo, l’unicità, il lavoro dell’artista. Tutto vero, ci mancherebbe: chi fa la requisitoria del virtuale ama vincere facile. Però è altrettanto vero che, soprattutto di questi tempi, bisogna ammettere che il virtuale è sempre meglio che niente. E piuttosto che non vedere del tutto una mostra è meglio vederla girovagando con i tasti del computer o con il visore.
Ma forse è solo questione di tempo, bisogna solo farci l’abitudine, ci vuole un po’ per abituarsi a una nuova modalità di vita parallela. E per farlo sono fondamentali gli esempi illustri, le sortite di personaggi o di istituzioni di riferimento che aprono la strada, e fanno esclamare alla gente “se l’ha fatto lui, allora non è poi così strano, un senso ce l’avrà pure”. In un’epoca di influencer questo discorso è ancora più valido e attuale: il senso dell’emulazione potrebbe far dimenticare temporaneamente anche la mancata soddisfazione dei sensi forzatamente trascurati dal virtuale.

Exposition virtuelle Miró, screenshot, #ExpoMiroVR, giugno 2020 © WAOlab Centre Pompidou, Parigi

Exposition virtuelle Miró, screenshot, #ExpoMiroVR, giugno 2020 © WAOlab Centre Pompidou, Parigi

LA MOSTRA SU JOAN MIRÓ A PARIGI

Nel caso delle gallerie virtuali il meccanismo che prelude all’emulazione si è messo in atto da qualche mese, da quando il Centre Pompidou, una delle massime istituzioni dell’arte, ha proposto la sua prima mostra da visitare muovendosi in ambienti di pixel, in uno spazio che ricorda quelli di Second Life. La mostra in questione riguarda il trittico Blu I, Blu II e Blu III di Joan Miró, che si potè ammirare per la prima volta nel 1961 alla galerie Maeght di Parigi. Gli ambienti della galleria virtuale sono stati creati scegliendo la strada della semplicità, con una grafica minimalista, senza voler stupire con effetti speciali. È una versione virtuale sobria, che non vuole incutere timore, che si offre come una risorsa di servizio, senza voler offuscare minimamente gli spazi e le esposizioni della realtà. Il virtuale in questo caso cerca di fornire un ausilio ma non vuole rubare la scena al mondo vero. Sarebbe stato facile pensare a qualcosa di strabiliante, ma probabilmente, almeno per ora, era sufficiente dare un segnale, sancire il fatto che anche il Centre Pompidou ha abbracciato questo tipo di ricerca. In verità, già questo tipo di presenza, semplice ma potente, offre una straordinaria legittimazione alle gallerie virtuali. E non è difficile pensare che in virtù dell’emulazione presto ne arriveranno altre, più o meno strutturate.

Mario Gerosa

https://www.centrepompidou.fr/lib/Exposition-Virtuelle-Miro

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Mario Gerosa

Mario Gerosa

Mario Gerosa (1963), giornalista professionista, studioso di culture digitali, cinema e televisione, si è laureato in architettura al Politecnico di Milano. È stato caporedattore di AD e di Traveller e ora è freelance. Dopo aver scritto il primo libro uscito…

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