Intervista a Michel Haddi, il fotografo realista delle dive della moda

Da ristoranti e portinerie a set e dive. Cercando i dettagli più veri dei grandi miti contemporanei. Poi dedica un libro alla top model e amica Kate Moss, di cui ci parla qui tra fotografia, divismo e moda in occasione del Photo London 2023

La moda sta alle celebrità come le celebrità stanno alla moda, perlomeno oggi. E questo il fotografo francese Michel Haddi lo sa bene. Classe 1965, ha iniziato come portiere notturno e cameriere al Maria, ristorante gay di Parigi frequentato dalle star del tempo, immortalando qualche anno dopo Liza Minnelli, Uma Thurman, Veruschka e Linda Evangelista. Il cambio decisivo nella sua carriera avviene negli anni Ottanta, quasi agli esordi, quando comincia a lavorare per GQ e Vogue, dalla versione inglese con il direttore creativo John Hind fino a quella italiana di Franca Sozzani, incontrando i membri dello showbiz più eterei. Eppure sembra che il suo cuore sia occupato dalla top model Kate Moss, alla quale dedica un libro in edizione limitata, The Legend, composto da Polaroid scattate nel 1991, andate perse per venticinque anni e poi ritrovate in alcuni scatoloni. Il volume è stato presentato attraverso un firma copie allo stand della galleria 29 Arts In Progress durante il Photo London 2023, consentendo la visione di alcune sue opere inedite. Noi di Artribune abbiamo avuto modo di parlare con il fotografo delle grandi dive, che cercava di cogliere con la fotocamera il loro aspetto più umano. Talmente apprezzato da aver reso quelle immagini indimenticabili.

Michel Haddi, Marisa Berenson, Haddi & More magazine, Paris, 2005 Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Michel Haddi, Marisa Berenson, Haddi & More magazine, Paris, 2005 Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

INTERVISTA A MICHEL HADDI

Perché ha scelto la fotografia come forma d’arte?
Non conoscevo nessuno nell’industria cinematografica che volessi diventare, perciò ho scelto la fotografia.

E come definirebbe il suo approccio? Io realista quanto senza limiti.
Anch’io. Bisogna osare assicurandosi che le foto siano delicate come uno splendido fiore velenoso.

Invece cosa rende uno scatto perfetto?
Non ci sono regole. Accade proprio lì davanti a te, oppure no. Qualcosa come “troppo tardi amico, hai perso la barca”.

Michel Haddi - Kate Moss for British GQ, New York, 1991 Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Michel Haddi – Kate Moss for British GQ, New York, 1991 Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

THE LEGEND: IL LIBRO DI MICHEL HADDI PER KATE MOSS

È da poco uscito il suo libro “The Legend”, dedicato a Kate Moss. Ci racconti com’è stato ritrovare quegli scatti e cosa le hanno ricordato.
Cercare nel mio deposito a Los Angeles mi ha rattristato a causa del tempo ormai trascorso. Ma mi ha aiutato a ricordare momenti incredibili.

Come quelli con Kate Moss, che rivoluzionò i canoni di bellezza delle modelle e non solo. Lei capì subito il suo potenziale?
Sì, Kate aveva e ha ancora il sorriso più affascinante. Trasmetteva una certa gioia di vivere, ed era consapevole di dover usare altre risorse essendo al di sotto dei 180 cm – negli anni Ottanta e Novanta prerequisito fondamentale.

IL RAPPORTO TRA KATE MOSS E MICHEL HADDI

In che modo decise di rappresentarla?
Cambiavo sempre ma ti racconto una storia. Ho incontrato Kate per la prima volta a Los Angeles mentre lavoravo con Lolita Davidovich per Interview Mag. Quel giorno ero impegnato, ma sentivo che fosse un grande ragazza. Ritornato a New York, dovevo lavorare a un grande progetto articolato da una campagna pubblicitaria e un film, poi proiettato in tutti i grandi magazzini Bloomingdale’s negli Stati Uniti.

E casualmente ha rincontrato Kate.
Esatto. Mi hanno proposto una giovane modella di nome Kate Moss e io ho detto, ovviamente, che fosse perfetta. Ma già ci vedemmo un paio di settimane prima per British GQ.

Cosa le viene in mente quando pensa a lei?
Alla Sirenetta di Copenaghen, che era la mia idea dietro quello scatto.

Ci sarà mai un’altra Kate Moss davanti all’obiettivo?
No, è come una Twiggy, una Shrimpton o una Veruschka: sono uniche. Secondo me consiste in questo la bellezza.

Michel Haddi - Liza Minnelli for Interview Magazine, New York, 1991 - Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Michel Haddi – Liza Minnelli for Interview Magazine, New York, 1991 – Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

IL POTERE DELLE CELEBRITÀ SECONDO MICHEL HADDI

Non ha fotografato solo Kate, ma anche Liza Minnelli, Uma Thurman e Linda Evangelista. Cosa rendeva unico il loro modo di posare davanti all’obiettivo?
Forse sono troppo eccentrico e vedo cose che gli altri non vedono. Ambisco ai dettagli delle persone, per poi ingrandirli.

Spesso i ritratti, e non solo, della celebrità vengono ritenuti meno importanti, quasi inespressivi…
Una buona immagine è sempre tale. Avedon, Penn e Newton ne sono l’esempio. Io ho compreso il potere delle celebrità dal primo giorno in cui ho lavorato per Vogue Homme, soprattutto per British Vogue. Loro dettano le regole vestendosi come vogliono, quindi di fatto non è uno shooting organizzato solo da un fashion editor. Avevano e hanno, ancora di più adesso, il potere di suscitare maggior consapevolezza rispetto a un marchio.

Perciò sono meglio di qualsiasi strategia di marketing.
Sono talmente potenti che tutti i marchi hanno cominciato a utilizzare celebrità cinesi, perché hanno milioni di seguaci. Niente è meglio che costruire una storia attorno a un personaggio pubblico, e creare qualcosa con lui.

IL FUTURO DELLA FOTOGRAFIA DI MICHEL HADDI

Con chi le piacerebbe lavorare oggi?
Le sorelle Hadid sono celebrità a pieno titolo. Mi piacerebbe fare un progetto tipo “The Hadid sisters by Haddi”. Suona bene, no?

Parliamo di moda adesso. Cosa significa per lei “fare fotografia di moda”?
Creare una sorta di racconto che lascerà un ricordo allo spettatore. Almeno spero.

Crede sia cambiato il rapporto tra fotografia e moda negli ultimi anni?
Abbiamo un modo politicamente corretto di comportarci in questi giorni, dunque i risultati mostrano tutte le nostre paure. Io mantengo la mia visione fino in fondo, e credo che non ci siano differenze tra la fotografia di moda e altre tipologie di questa.

Giulio Solfrizzi

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Giulio Solfrizzi

Giulio Solfrizzi

Barese trapiantato a Milano, da sempre ammaliato dall’arte del vestire e del sapersi vestire. Successivamente appassionato di arte a tutto tondo, perseguendo il motto “l’arte per l’arte”. Studente, giornalista di moda e costume, ma anche esperto di comunicazione in crescita.

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