La lezione di Virgil Abloh. Dopo la rabbia e l’emozione

Si definiva “maker”,  è stato un “aggregatore”  e un evidente “disruptor”  (qui la traduzione italiana “disgregatore” rende poco l’idea),  ma di certo non “stilista”

Se c’è un vocabolo che non lo ha mai definito questo è “stilista”. Si definiva “maker”,  è stato un “aggregatore”  e un evidente “disruptor”  (qui la traduzione italiana “disgregatore” rende poco l’idea),  ma di certo non “stilista”. Anche  per questo un’ industria vecchiotta come quella della moda di fronte al suo successo è stata costretta a ripensarsi. Virgil Abloh ha iniziato la sua carriera nella moda a fianco dell’amico Kanye West:  stage da Fendi a quel tempo già di proprietà di LVMH. Stando ai ben informati per poco più di 500 euro al mese, ma  comunque utile per acquisire tecniche sartoriali ed esplorare il sistema di produzione che sta dietro la creazione di una collezione. E pure per costruire  una relazione con i dirigenti di questo gigante del lusso che da lì a poco si sarebbe rivelata assai fruttuosa. Quando poi nel 2012  Abloh ha dimostrato di saper coniugare in maniera del tutto inaspettata street wear e lusso creando Off-White,  l’intero settore ha drizzato le antenne. E nel marzo 2018 è arrivato l’incarico di direttore creativo di Louis Vuitton menswear.  In questo modo il marchio più celebre (certamente il più redditizio) della più potente conglomerata del lusso al mondo è passato ì nelle mani di un afroamericano,
Una traiettoria davvero straordinaria dunque, ma percorsa non senza qualche difficoltà. L’accoglienza dei giornali tradizionali ad esempio che all’inizio lo hanno massacrato: perché faceva il dj, intersecava percorsi artistici e faceva “vestiti”…  non  “moda”. Ma come è spesso accaduto i giudici da passerella erano in ritardo. Abloh nel frattempo comunicava direttamente con i suoi “clienti” anche quando non compravano, anche se erano “solo” fan appassionati. La “stampa” ha dovuto poi fare i conti con il successo di Off White, quando il marchio ha cominciato a rimanere caparbiamente al primo posto  nei ranking di Launch Metrics o Tribe Dynamics.

Virgil Abloh a Miami

Virgil Abloh a Miami

VIRGIL ABLOH IL MAKER

Workholic: è questo un altro vocabolo utile a definire Abloh da sempre un maniaco del lavoro che questo significasse fare  il  designer di mobili per Vitra a Basilea nel  giugno 2019  o il dj all’Ortigia Sound System Festival di Siracusa nell’agosto successivo. Sempre intento a lavorare a un nuovo progetto, uno dopo l’altro, uno contemporaneamente all’altro, all’infinito…  La sua influenza a livello globale si è fatta sentire anche per questa  caratteristica. Abloh ha lavorato per fondere due industrie assai complesse, quelle della cultura contemporanea e quella  moda di lusso: lo ha fatto con un approccio incentrato sulla storia dell’arte, la musica, il design grafico, l’architettura e ovviamente le “sottoculture” giovanili. La sua scomparsa arriva pochi giorni prima che potesse attuare il progetto che prevede per Louis Vuitton gigantesche installazioni e uno spin-off fashion posizionati nel design district per Art Basel Miami questa settimana.

Virgil Abloh a Miami

Virgil Abloh a Miami

VIRGIL ABLOH, L’AGGREGATORE

Dopo aver fondato Off-White, ma anche dopo aver preso la guida della collezione maschile di Louis Vuitton, Abloh non ha mai smesso di collaborare con brand esterni come Nike, Supreme or Evian. Nel luglio 2021, LVMH gli ha addirittura proposto una posizione inedita che gli avrebbe permesso una supervisione dei 75 (!) marchi del gruppo: facendo di lui il più potente dirigente nero del più potente gruppo del lusso esistente. Che cosa avrebbe dovuto o potuto fare ? Una prima mossa è stata quella di scegliere come direttore artistico per il brand Kenzo il designer giapponese e DJ Nigo, altro guru dello street wear. Con Nigo e Abloh aveva già collaborato per una capsule collection denominata LV². Con esattezza a cosa altro stesse pensando non lo sapremo mai: l’incarico prevedeva comunque il lancio di nuovi marchi, possibili interventi su quelli esistenti  e un overlooking in settori che andavano ben oltre lo specifico della moda. Un ruolo  non tradizionale per una personalità più interessata a ritagliare nuovi percorsi in una industria un po’ ingessata piuttosto che seguire le orme di qualcun’altro. Il suo crossover tra marchi del resto ha già fatto scuola. Di recente lo hanno messo in pratica anche Gucci con  Balenciaga e Balenciaga con Gucci intervenendo di concerto Gvasalia e Michele l’uno sul marchio dell’altro (lo scontrino finisce comunque nelle tasche di Kering che  li possiede entrambi).

Virgil Abloh a Miami

Virgil Abloh a Miami

VIRGIL ABLOH, DISRUPTOR

La costruzione di una collezione prevede una dinamica che a partire dall’abbinamento di un primo bozzetto abbinato alle possibili varianti di tessuto procede per aggiunte successive che prevedono il trasferimento in un programma informatico come il Clo3d,   poi l’esecuzione di un carta modello, quindi la preparazione di una tela di prova:  si procede quindi per  successive aggiunte di tipologie di capi coerenti sino a raggiungere la giusta massa critica. A questo punto  un certo numero accessori sono in grado di dare un accento accattivante al tutto. Questa ultima parte spetta , nel migliore dei casi, a stylist di valore ( le Anna Piaggi, le Carine Roitfeld, le Anna Dello Russo):  coordinatrici in grado di accendere il glamour (anni ’80) o proiettare un immaginario (anni ‘90 e successivi 2000) su abiti che sino a quel momento non hanno ancora “iniziato a sognare”. È il modo di procedere classico: persino in grado di simulare rotture o sorprese (specie con Anna Piaggi), ma che resta in realtà sempre all’ interno dei codici stabiliti, dei composè, dell’abbinamento più o meno irriverente, insomma di un  bonton largamente condiviso.
Lavorava in altro modo Abloh. Per lui il punto di partenza potevano essere un paio di occhiali  o una sneaker, intorno a cui assemblare poi quanto fosse utile per raggiungere la suddetta massa critica.  Non erano la “collezione” e la sua presentazione in “sfilata” il suo punto di arrivo. Un limite?  Al contrario: in questo Abloh  è sempre stato in  sintonia con il modo di sentire la moda tipico di Millennial e GenZ  (entro il 2025 la maggioranza assoluta di consumatori) per cui non esistono scale di valori che assegnino una quasiasi  precedenza al “vestito” rispetto a questo o quwll’accessorio.  Virgil Abloh è nato a Rockford, Illinois nel 1980, da genitori immigrati ghanesi ed è cresciuto immerso nella cultura skate e hip-hop. Questo certo significa qualcosa, ma nemmeno la figura del genio selvatico cresciuto per la strada gli si addice. Aveva studiato ingegneria civile all’Università del Wisconsin-Madison e poi  conseguito un master in architettura presso l’Illinois Institute of Technology. Il fatto è che il disgregatore Abloh ha avuto la capacità di comprendere lo zeitgeist dei suoi contemporanei. Per Abloh come per i suoi “clienti”  gli abiti sono totem fungibili di identità che intersecano arte, musica, filosofia e persino politica. Politica nella moda? Ancor una volta non quella intessa in senso tradizionale: Abloh è stato un punto di riferimento per la comunità nera internazionale. Il giorno della sua morte ha twitatto in suo ricordo Pharrell Williams. Su Instagram lo hanno fatto Il giocatore NBA Russell Westbrook  così come Rudy Gobert, un altro giocatore NBA. E ancora il calciatore Kylian Mbappé,  l’attore e musicista britannico Idris Elba e la pop star Dua Lipa. Solo 41 anni santo cielo ! Lascia la moglie Shannon e i  figli Lowe e Grey Abloh.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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