A Londra la Fashion Week inglese (in attesa dello tsunami Brexit). Ecco come è andata

Non solo Pitti Uomo a Firenze. Si è svolta dall’8 al 10 giugno la Fashion Week maschile inglese, ovviamente a Londra. Il report dell’evento

I fashion show uomo SS 2020 si sono appena conclusi in una Londra funestata dall’incertezza per lo tsunami che sta per investirla. Non moltissimi, non fastosi, comunque interessanti per monitorare la bizzarra temperie del momento. Ne descriviamo tre facendo certamente torto ad altri, ma Craig Green, Charles Jeffrey Loverboy e Martine Rose costituiscono certamente la pattuglia di testa di queste sfilate londinesi.

MARTIN ROSE

Martin Rose

Martin Rose

Martin Rose si è presentata alla stampa, alla fine dello show, indossando una T-shirt raffigurante un pagliaccio circondato dalle stelle della bandiera UE e corredato della scritta “Promising Britain”, con un riferimento arrabbiato al disastro politico in cui versa la Gran Bretagna. “È ridicolo ma terrificante allo stesso tempo“, ha detto. “Sono clown i politici. È tutto confuso, quello che succede qui e anche a livello internazionale. Giocoso ma sinistro, direi”. Rose ha scelto per il suo show – e non a caso – il poco rassicurante tetto di un edificio nel blocco nel centro finanziario di Londra. Insieme ad altri riferimenti inquietanti, come il denim rovinato con trattamenti di resine, Rose ha inserito una nota ottimista: la scritta “Magic Things Ahead” è comparsa sul patch che decorava alcuni degli outfit in passerella. “Penso che, alla fine, qualunque cosa accada, ci siano sempre le persone. Credo nelle relazioni tra le persone”, ha concluso speranzosa. In questo show Rose non ha abbandonato il suo tratto più tipico, l’esplorazione delle sottoculture, specie quelle musicali: new romantics, teppisti da stadio, skinheads e proto-ravers, tutti presenti con gli anni ’80 come riferimento particolare. Bello l’impianto, acuta la polemica: i vestiti? Interessanti…

LA RISPOSTA DI LOVERBOY

Charles Jeffrey, Loverboy, spring 2020 collection

Charles Jeffrey, Loverboy, spring 2020 collection

Una diversa la risposta alla confusione del momento è arrivata dal designer scozzese Charles Jeffrey Loverboy che si è rifugiato nella British Library per uno show pensato come antidoto per restare sani di mente in un mondo impazzito. All’inizio dello spettacolo ha letto personalmente un passaggio di Dylan Thomas. Due le ulteriori letture: tenute dal giovane poeta londinese Wilson Oryema, e da Helene Selam Kleih, capace di una scrittura potente che affronta questioni relative al tema della salute mentale maschile. Gli highlights della collezione presentata da Loverboy includono impermeabili in vernice con colletto a contrasto, giacche di sapore sartoriale, pantaloni sfrangiati all-over. Alcuni indumenti sono stati dipinti e altri sono stati costruiti con multi-tessuti. Stampe colorate e un po’ naif sono un leit-motiv nelle collezioni di Loverboy, così come la maglieria e il tartan. Il lavoro del designer fa riferimento a epoche in cui la cultura giovanile rifletteva una rottura generale nella società – il punk degli anni ’70 e la cultura pop all’inizio degli anni ’80.  Come Martin Rose anche Loverboy sembra guardare al futuro con gli occhi rivolti al passato, ma, e si tratta forse di un limite, il fashion targato GB fa riferimento a questi fenomeni da almeno 40 anni.

CRAIG GREEN

Craig Green, London Fashion Week mens spring summer 2020 runway

Craig Green, London Fashion Week mens spring summer 2020 runway

Diverso il caso di Craig Green: il suo modo di procedere è certamente più colto: punto di riferimento di questo show è il corpo umano fatto di pelle, carne e muscoli. Per quanto non citi direttamente il lavoro della prima Abramovic, il ricordo della artistar di Belgrado non può non risuonare. In passerella sono apparsi abiti di seta imbottiti che accennavano alla curvatura dei muscoli completati con ricami ispirati a studi anatomici zoroastriani – “i muscoli sembrano quasi fiori“-. L’intento parecchio ambizioso di Green è quello di mettere in relazione la fisicità del corpo con la complessità della mente umana. Tre volte premiato come Menswear Designer of the Year Green ha provato a lavorare con i codici che gli appartengono: oltre ai tagli mutuati dalla divisa e dall’abito da lavoro, il quilting (recente la sua collaborazione con Monclaire), piccoli legacci rossi e strisce di materiali che si protendono fuori dal volume dato, e ancora per contrasto l’assenza di volume e la geometria tipiche delle sue invenzioni più esoteriche. Nonostante la complessità del punto di partenza il risultato rende se non tutti, molti dei suoi outfit inseribili nella categoria dell’indossabile e vendibile: cappotti in pelle, salopette e pantaloni sartoriali con tasche esterne quadrate, in nero, marrone e blu costruiscono la sua proposta per un elegante guardaroba maschile

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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