Quattro modelle che imitano la stasi di un manichino, cercando l’equilibrio su tacchi sgargianti e spumosi, unica nota di colore tra le leggerezze dell’organza e il tulle degli abiti. La mimesi tra i corpi, veri e finti, funziona, interrotta solo dai cedimenti delle “korai”, che stanche lasciano, a turno, il proprio plinto. Non è chiaro se sia una scelta di denuncia sul ruolo della donna-oggetto o di completa adesione. Per l’inaugurazione Sylvio Giardina (Parigi, 1967) mette in scena una sfilata statica, un fermo immagine, a metà tra la performance e l’installazione, per descrivere le ispirazioni sottese alla nuova collezione haute couture SS2019.
L’effetto generale è quello di una grotta, illuminata solo dalle ombre di ampolle e calici di Boemia, che, ondeggiando dal soffitto, riflettono sulle pareti le proprie ombre, in un movimento cadenzato, che rende fluido lo spazio e lo ammorbidisce, in armonia col sottofondo musicale. Il dialogo tra la carne e la resina non sopravvivrà all’inaugurazione, ma, certo, resteranno i cinque abiti, coni di luce candida, dove la cura maniacale per il dettaglio sartoriale esalta la filigrana dei tessuti e dei tagli geometrici, rimandando alla leggerezza, alle trasparenze e alla molteplicità dei riflessi del cristallo, quale metafora, forse, dell’immagine della verità. Non resta che scoprire l’intera collezione.
‒ Fabio Massimo Pellicano