“Lost in Chiaravalle” e Quartiere Adriano: due creativi olandesi studiano nuovi approcci al design nelle periferie di Milano
Un programma di residenze del Nieuwe Instituut di Rotterdam partito lo scorso aprile ha portato i designer Pete Fung e Studio-Method in due quartieri distanti dal centro (in tutti i sensi) con l’obiettivo di “ridisegnare le design week” rendendole più inclusive. Lontano dagli eccessi del Fuorisalone

“Quando sono sceso dall’autobus per la prima volta mi sono sentito un po’ come Chihiro, la bambina protagonista de ‘La Città Incantata’ di Miyazaki, nella famosa scena del treno”, racconta il designer Pete Fung, cresciuto all’Accademia di Eindhoven dove oggi insegna design sociale. “Attraversi una rotonda e ti ritrovi in un attimo come fuori dalla realtà, in una specie di altrove, mentre fuori dal finestrino scorre la pianura con un’infilata di campi coltivati e di cascine. Chiaravalle è così: è Milano e allo stesso tempo non lo è più”. Il piccolo borgo all’estrema periferia sud-est della città, dove si arriva solo con mezzi propri o con il bus numero 77 da Brenta o Corvetto, non è in effetti la destinazione che ci si aspetterebbe per una residenza di design. Così come non lo è il Quartiere Adriano, a nord-est di Milano e al confine con Sesto San Giovanni, con i suoi palazzi spuntati come funghi attorno allo stabilimento della Magneti Marelli, poi abbandonato. In entrambi i casi, si tratta di luoghi dove la distanza percepita dal centro è maggiore di quella reale, e dove durante le tante “week” milanesi il vociare della folla riunita per le inaugurazioni delle mostre e il tintinnio dei calici sono soltanto un’eco lontana.
Redesigning Design Weeks: ripensare gli eventi legati al design per renderli “di tutti”
Eppure, è proprio a Chiaravalle che Fung ha piazzato le tende per due mesi la scorsa primavera e sta per tornare per trascorrere un nuovo periodo in residenza appoggiandosi all’associazione locale Terzo Paesaggio, il tutto nell’ambito di un programma pluriennale del Nieuwe Instituut di Rotterdam portato avanti in collaborazione con l’Ambasciata e il Consolato Generale olandese e l’agenzia culturale italiana cheFare. Il punto di partenza di Redesigning Design Weeks, questo il nome del progetto, è la presa di coscienza del fatto che gli eventi legati al design, così come li conosciamo, non sono sempre sostenibili per le città che li ospitano. Al contrario, si trasformano spesso in grandi carrozzoni commerciali e in catalizzatori della gentrificazione, contribuendo a spingere verso l’alto il costo della vita e i prezzi degli alloggi, ad aumentare il sovraffollamento turistico e l’inquinamento. Un dinamica che, alla scala del capoluogo lombardo, è raccontata molto bene dalla studiosa delle politiche urbane Lucia Tozzi nel suo libro L’invenzione di Milano. I designer venuti dal Nord si sono calati nel contesto di due quartieri periferici, Chiaravalle e Adriano appunto, alla maniera degli antropologi, cioè vivendo in prima persona ambienti e situazioni. Così facendo, hanno cercato di sviluppare delle strategie site specific per mettere il design al servizio di tematiche urgenti come l’isolamento o l’integrazione dei migranti, e nel frattempo hanno raccolto dati e materiali per una ricerca di ampio respiro sull’impatto delle design week sui territori.

A Chiaravalle con Pete Fung
Nel borgo alle porte della città, una specie di “foresta di Sherwood” in salsa milanese secondo la definizione di una residente, Pete Fung si è trovato a essere un outsider, facilmente identificabile come tale per via del suo aspetto e del fatto che non parlasse italiano, e a lavorare con persone altrettanto ai margini della comunità locale: i residenti di una comunità per minori non accompagnati. Con questi ragazzi – una trentina di 16-17enni che nel racconto del designer “a prima vista sarebbero un classico esempio di ‘maranza’, un termine gergale con una connotazione negativa adottato di recente per descrivere i giovani dei sobborghi, riconoscibili anche per il loro abbigliamento: tute in acetato, scarpe da ginnastica e piumini smanicati” – ha studiato una serie di attività basate sull’esplorazione della città e pensate per farli sentire parte di un tutto e non più corpi estranei. Ad aprile, li ha portati a visitare diverse esposizioni del Fuorisalone, più ludiche o più impegnate come per esempio la mostra sugli arredi delle prigioni nei tunnel di Dropcity. L’obiettivo per l’autunno? Rivitalizzare con il loro aiuto i tre chilometri di ferrovia dismessa che corrono accanto all’Abbazia e si inoltrano tra i campi del Parco Agricolo Sud Milano. Con una parola d’ordine: non farne un palcoscenico su cui mettere in scena l’ennesimo racconto delle periferie calato dall’alto. “Il design ha la tendenza a riassumere i problemi, per esempio le preoccupazioni relative alla gentrificazione o lo ‘urban displacement’, il fenomeno per cui fasce intere della popolazione di una città sono costrette a spostarsi, in narrazioni ordinate che pretendono di essere esaurienti, un atteggiamento se vogliamo molto borghese”, mette in guardia Fung. “Ma questo rischia di appiattire la complessità delle problematiche in gioco e delle persone coinvolte nel discorso”.
Giulia Marani
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