Questo verde non è verde. A proposito del waterfront di Palermo
Bandito dall’Autorità di Sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale e dal Comune di Palermo, il concorso di idee per la progettazione di una porzione del waterfront urbano di Palermo è stato vinto dal team Cicala Associati. Un commento
Aree verdi, spazi verdi, città verdi: di fronte all’abuso dell’aggettivo, il paesaggista Antonio Perazzi, in vena surrealista, è sbottato: “Mi sono anche un po’ stancato della parola verde. Il verde non è verde”. Dando così sfogo all’insofferenza verso la banalizzazione non solo del lavoro del paesaggista, ma della stessa complessità della Natura che, a parole, molti progettisti oggi inseguono ma pochi rispettano e conoscono davvero. Perché nelle mani di un paesaggista la natura emerge con lineamenti precisi, declinata pianta per pianta con forme, colori, disposizioni (ed altro ancora), soppesando necessità funzionali ed espressive, ordine delle cose naturali; nelle mani di altri progettisti, molto più spesso, la Natura resta un elemento vago, massimalista ed evergreen. Un’intenzione più che un progetto, un’appendice di complemento: il verde, appunto. Qualcosa che non vale la pena di precisare, di indagare: qualcosa si farà. E figlio di questo atteggiamento culturale duro a morire sembra essere il concorso internazionale per il waterfront di Palermo.
Il concorso di idee per riqualificare il waterfront di Palermo
Che l’occasione fosse epocale era chiaro a tutti. Per anni Palermo aveva perso il suo mare; un plateau sterile e piatto, oltre il traffico di strade a doppia corsia, teneva a distanza il mare dal centro storico, dalle passeggiate e dai palazzi, dal giardino dell’ermetica villa Giulia. Oggi, dopo una lunga stagione di riconquista, il bando internazionale per un nuovo waterfront che saldi aspirazioni nuove e storia della città-porto. Un progetto che per il Foro Italico palermitano, si legge nel bando, reclama “un luogo nel quale la dimensione vegetale sia protagonista, un grande terrazzo vegetale sul mare in grado di connettere il centro storico con il suo mare”. Ma la dimensione vegetale, protagonista, lo è nella forma, poco nella sostanza.

Un commento del progetto che cambierà il lungomare palermitano
Percorsi ciclopedonali, parcheggi, viabilità veicolare e tramviaria, pontili che si protendono sul mare, ma il progetto vincitore non convince su quello che dovrebbe essere il tema prepotente e rilevante, di più, strutturante: quel grande terrazzo vegetale che, nelle generose vedute, restituisce una realtà almeno botanicamente inverosimile. Accanto alle familiari palme, fanno capolino alberi ad alto fusto che sembrano tigli, longilinee betulle, conifere (forse abeti rossi o pini neri), persino qualche salice che si piega a sfiorare l’acqua, ed un sottobosco di cespugli imprecisati. Una vegetazione che sembra giustapposta senza ordine, come riempimento per rianimare vedute altrimenti scarne. Basta sottrarre questo verde e restano asciutte promenade ampie e rettilinee, prati piatti e senza fantasia. Siamo sicuri che passeggiate dritte come un fuso conferiscano quella qualità relazionale dovuta ad un parco contemporaneo? Siamo sicuri che spianate erbose assolvano pienamente ed efficacemente quel ruolo aggregativo che la commissione giudicatrice del concorso gli attribuisce, valutando semplici radure come un elemento progettuale apprezzabile?
Il ruolo della sorpresa negli spazi pubblici contemporanei
Un recente studio mette in guardia sulla pericolosa deriva degli spazi pubblici che, architecti culpa, vengono usati sempre più come corridoi, spazi di trasferimento da un luogo all’altro. Vale ancor di più in un luogo che si vorrebbe così marcatamente naturale, dove entrano in gioco non solo capacità compositive ma stimoli psicologici ed istinti ancestrali. Lo sa bene Sarah Eberle: “Credo che ogni essere umano risponda in modo innato alle sollecitazioni del mondo naturale – spiega la celebre paesaggista di fama mondiale – e come paesaggista devo tenerne conto. Sono molto legata a quella che si chiama “teoria del rifugio del cacciatore”, ovvero voler vedere senza essere visti: non amiamo sentirci esposti perché ci fa sentire vulnerabili. Capire questo aspetto psicologico, l’importanza di far sentire le persone a loro agio, al sicuro”, conclude, “mi è di grande aiuto per progettare.” La sua poetica è quella della sorpresa: “Sei in giro a passeggio e ti imbatti in un posto che ha qualcosa di speciale, che ti invoglia a fermarti anche solo per un momento e, semplicemente, essere”.
Nuovi waterfront e concorsi in Sicilia: Palermo VS Trapani
Aspetti che, se non sono sfuggiti, sono stati quantomeno deprezzati nella graduatoria finale che ha penalizzato approcci più sensibili, naturali e votati alla maturazione nel tempo, preferendo soluzioni più sdraiate a scelte coraggiose. E certo lascia perplessi, in epoca di cambiamenti climatici, che non si siano guardate dritte negli occhi sfide e temi epocali per immaginare una città dal paradigma nuovo e futuribile, con equilibri non più antropocentrici: paesaggi resilienti, piante a bassa manutenzione, e tanto altro sono rimasti musica d’atmosfera. Certo, l’apertura delle buste del concorso ha rivelato poco di internazionale: il che non di per sé peccato. Dovrebbe esserlo, e lo è, l’asfissia di idee, l’aria stagnante dovuta alla cronica mancanza di confronto che l’aurea conca di Palermo continua e tenere serrato fuori dai propri confini. E sarà proprio colpa della conformazione geografica, visto che il waterfront di Trapani, al cospetto di un montepremi meno della metà di quello palermitano (62.000 euro contro 150.000 euro), ha stuzzicato raggruppamenti rimarchevoli, con intelligenti innesti siciliani. Vincitori Technital, Valle 3.0, Peluffo & Partners, Marco Antonini Architects, gli architetti Vito Corte e Carmen Antonini. Il risultato? Un progetto equilibrato, che srotola un continuum narrativo efficace e multiforme, ma che si ritrae e sfuma fino all’annullamento dove necessario. Senza piantare, però, nemmeno un filo d’erba.
Gabriele Mulè
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