I paesi che per la prima volta hanno avuto un padiglione alla Biennale Architettura 2025 di Venezia 

Alla ricchezza dei contributi della Biennale di Architettura di quest’anno si aggiungono le nuove presenze di Azerbaigian, Qatar, Repubblica del Togo e Sultanato dell’Oman che rendono la manifestazione ancora più extraeuropea

La 19ª Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, Intelligens. Natural. Artificial. Collective, ha ufficialmente aperto i battenti. A curare questa edizione è Carlo Ratti che ha definito con chiarezza la visione alla base dell’esposizione: costruire il mondo con intelligenza, ascoltando quella della Terra. Il titolo stesso diventa così un invito alla collaborazione tra diverse forme di intelligenza — naturale, artificiale e collettiva — per ripensare in modo condiviso l’ambiente costruito.
In quello che è un quadro curatoriale aperto, i 66 Paesi partecipanti riescono a raccontare con efficacia il frutto di ricerche approfondite, attraverso allestimenti curati e accessibili anche ai non addetti ai lavori.

La Biennale di Architettura 2025: una manifestazione extraeuropea

L’edizione 2025 si distingue per un’espansione sempre più extraeuropea, grazie alla presenza di quattro nuove partecipazioni nazionali: la Repubblica dell’Azerbaijan, il Sultanato dell’Oman, il Qatar e il Togo. Un’apertura che sottolinea l’invito rivolto a ciascuna nazione di esplorare strategie architettoniche radicate nel proprio contesto locale, dando vita a un dialogo corale di voci e forme di intelligenza diverse. Ospitalità, comunità, equilibrio e memoria sono solo alcuni dei temi che attraversano questi quattro contributi. Ma dietro ogni padiglione c’è molto di più…

Azerbaigian – Equilibrium. Patterns of Azerbaijian

Alla sua prima partecipazione alla Biennale di Architettura, l’Azerbaigian presenta il padiglione Equilibrium. Patterns of Azerbaijan, curato da Nigar Gardashkhanova e promosso dalla Heydar Aliyev Foundation insieme al Ministero della Cultura della Repubblica, con il sostegno dell’ambasciata azera in Italia. Il progetto esplora il delicato equilibrio tra innovazione e memoria, mostrando come la sostenibilità urbana possa radicarsi nella storia e nel paesaggio culturale del Paese.
Al centro della narrazione del padiglione il concetto di “intelligens” viene inteso come intelligenza collettiva al servizio della rigenerazione e dell’equilibrio ambientale. Emblematico in questo senso è il progetto della Città Bianca di Baku, un caso virtuoso di riconversione urbana: un’ex area industriale, nota storicamente come “Città Nera” per il suo ruolo nella raffinazione del petrolio, si trasforma in un moderno centro sostenibile diventando “Città Bianca”.
Dopo decenni di sfruttamento intensivo del suolo e degrado ambientale della baia di Baku, l’intervento di riqualificazione— avviato con un piano d’azione ambientale varato nel 2006 dal presidente Ilham Aliyev — segna una rinascita ecologica e urbanistica. Il padiglione ce lo racconta dimostrando come l’Azerbaigian stia costruendo un futuro verde senza rinunciare alla propria identità, offrendo un precedente concreto e ambizioso, da cui molti potrebbero — e dovrebbero — prendere esempio.

Qatar – Beyti Beytak. My Home is Your Home. La mia casa è la tua

Uno dei padiglioni più attesi della Biennale è senza dubbio quello del Qatar, tanto discusso quanto significativo per la svolta storica che rappresenta: dopo trent’anni, una nuova nazione entra nei Giardini, cuore simbolico dell’Esposizione. È qui, nel luogo dove dal prossimo anno troverà spazio il padiglione permanente del Qatar, su progetto di Lina Ghotmeh che si trova una delle due sedi del padiglione. Si tratta del Community Centre, una struttura temporanea in bambù e fronde di palma progettata dall’architetta pakistana Yasmeen Lari, pioniera della “de-architettura”, un approccio radicale basato su sostenibilità, tecniche vernacolari e impatto minimo. Il tema centrale è l’ospitalità, intesa come incontro e condivisione, tema che prosegue arricchendosi anche nelle sale di Palazzo Franchetti. Curata da Aurélien Lemonier e Sean Anderson, l’esposizione riunisce oltre trenta architetti da Medio Oriente, Nord Africa e Asia meridionale, esplorando ottantacinque anni di spazi di accoglienza: dalla casa all’oasi, dal museo al giardino. Una riflessione sull’ospitalità come valore civico, etico e architettonico. Un debutto forte, che segna l’ingresso del Qatar nel dialogo culturale globale.

Repubblica del Togo – Considering Togo’s Architectural Heritage

Debutta alla Biennale anche la Repubblica del Togo, con il progetto Considering Togo’s Architectural Heritage, a cura di Studio NEiDA e su iniziativa di Sonia Lawson, direttrice del Palais de Lomé. Le curatrici tracciano un percorso che esorta riscoprire e valorizzare la memoria architettonica del togolese, invitando a rispettare il passato per affrontare con consapevolezza le sfide del presente. La mostra esplora un patrimonio architettonico che spazia dalle antiche costruzioni in argilla, doloroso retaggio della schiavitù, fino alle audaci sperimentazioni del modernismo post-indipendenza. Un’eredità ricca e sorprendente, che racconta l’evoluzione dell’identità del paese e che oggi si rivela come straordinaria fonte di ispirazione per una nuova generazione di architetti e costruttori. Questo viaggio, non solo amplia la nostra comprensione dell’architettura del Togo, ma ci ricorda l’urgenza di conoscere e valorizzare ciò che esiste, come fondamento per progettare un futuro che rispetti le radici storiche e culturali.

Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo
Togo Pavilion, Biennale 2025. Photo © Matteo Losurdo

Sultanato dell’Oman – Traces

Curato dall’architetta Majeda Alhinai, il progetto si articola intorno al concetto di Sablah, il tradizionale spazio comunitario omanita, emblema di un’intelligenza collettiva che nasce dall’ospitalità e crea le condizioni perché ogni voce possa essere ascoltata e valorizzata. Il padiglione propone un’architettura che reinterpreta le strutture civiche informali dell’Oman per adattarle alle esigenze della vita pubblica contemporanea. Realizzato in alluminio grezzo, include pannelli perforati che richiamano la forma della dallah, il tradizionale recipiente utilizzato per servire il caffè arabo, e che si ispirano a pratiche culturali omanite come la tessitura delle foglie di palma e il sistema di irrigazione Falaj. Traces non imita la Sablah, ma la mette in atto con la sua struttura aperta che favorisce il dialogo, la riflessione e il movimento. Non ci sono porte né soglie fisse; i visitatori passano attraverso o si fermano liberamente. Lo spazio non impone comportamenti, ma li accoglie e li sostiene. Il progetto riflette la visione dell’Oman per il 2040, mettendo in dialogo tradizione, innovazione architettonica e sostenibilità culturale.

Caterina Rossi

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