Morto l’architetto indiano Balkrishna Doshi

Maestro dell’architettura indiana del Novecento, Balkrishna Doshi è morto a 95 anni. Con all’attivo esperienze professionali con Le Corbusier e Louis Kahn e oltre cento opere completate, solo nel 2018 fu insignito del Pritzker Prize. “Un regalo inaspettato e insolito”, come lui stesso commentò

Con la scomparsa dell’architetto, urbanista e docente di nazionalità indiana Balkrishna Doshi, perdiamo “una figura unica nel panorama dell’architettura del XX secolo. Era un architetto che ha influenzato molte persone in modi diversi: con le sue opere, scritti, insegnamenti, come mentore e modello esemplare. Ha lavorato a diverse scale, dall’urbanistica ai singoli edifici. (…) La generosità di spirito era sempre presente in tutto ciò che Doshi faceva. Il suo grande rispetto e la fiducia nelle persone erano evidenti nel suo approccio all’architettura e alla vita”. Questo il ricordo, affidato ai social, di Martha Thorne, attuale Preside dell’IE School of Architecture and Design di Madrid che, a partire dal 2005, è stata Executive Director del Pritzker Architecture Prize, il più prestigioso riconoscimento architettonico a livello globale. A Balkrishna Doshi venne attributo solo nel 2018, ormai novantenne, a coronamento di un percorso professionale segnato da una “eccezionale architettura, che si riflette negli oltre cento edifici che ha realizzato, nell’impegno e nella dedizione verso il suo paese e le comunità che ha servito, nella sua influenza come insegnante e nel rilevante esempio che ha dato a professionisti e studenti di tutto il mondo nel corso della sua lunga carriera”, come motivò all’epoca la giuria internazionale. In oltre sei decenni di attività (in studio, in cantiere, nelle aule della facoltà da lui fondata e diretta), Balkrishna Doshi si è ripetutamente misurato con la sfida cruciale della progettazione di alloggi per le fasce a basso reddito, in un contesto complesso come quello indiano. Ha sviluppato soluzioni e strategie, spesso pionieristiche, capaci di combinare l’approccio modernista con la profonda consapevolezza delle risorse effettivamente disponibili in patria e con la conoscenza diretta della peculiare dimensione culturale, climatica e artigianale della sua terra.

LA STORIA DELL’ARCHITETTO INDIANO BALKRISHNA DOSHI

Al centro negli ultimi anni di un significativo quanto doveroso percorso di riscoperta – grazie anche alla mostra Balkrishna Doshi: Architecture for the People, curata dall’architetta indiana Khushnu Panthaki Hoof (nonché sua nipote), che dal 2014 in poi è stata presentata in Asia e in Europa -, Balkrishna Doshi era nato a Pune, il 26 agosto 1927. Nell’anno dell’indipendenza dell’India, il 1947, intraprese la formazione in architettura presso la Sir J.J.School of Architecture Bombay, la più antica e tra le più importanti istituzioni per l’architettura del subcontinente indiano. Spinto dall’ambizioso sogno di divenire membro della Royal Institute of British Architects – la stessa istituzione che, molti anni dopo, gli avrebbe attribuito l’ambita Royal Gold Medal –, raggiunse l’Europa: prima Londra, poi Parigi. È nella capitale francese che avviene l’incontro destinato a incidere nella sua visione e futura produzione: quello con Le Corbusier, al fianco del quale lavora come Senior Designer dal 1951 al 1954, occupandosi per il successivo quadriennio di supervisionare i progetti elaborati per l’India, a partire dal celeberrimo piano per Chardigarh. Risale quindi al decennio successivo la collaborazione con un altro maestro del Novecento: Louis Kahn, con cui realizza l’Indian Institute of Management, ad Ahmedabad, città dell’India profondamente segnata dal suo contributo.

LA LUNGA CARRIERA E GLI OLTRE 100 PROGETTI DI BALKRISHNA DOSHI

Attivo dal 1956, lo studio da lui fondato è oggi divenuto la società multidisciplinare Vastushilpa Consultants; conta cinque partner, circa sessanta dipendenti e ha completato oltre 100 opere. Eterogeneo per scala, funzione e ubicazione, questo corpus di interventi include strutture amministrative, centri culturali, istituti di formazione e scuole (come l’Ahmedabad School of Architecture, alla quale lavora dal 1966 al 2012 con una serie di addizioni, dopoaverla fondata e a lungo diretta), complessi residenziali e di edilizia sociale (come l’Aranya Low Cost Housing di Indore, che gli valse l’Aga Khan Award for Architecture 1995); non di minore importanza i progetti di pianificazione urbana. Il risultato è “un’architettura seria, mai appariscente o seguace delle tendenze”, che riesce a essere “autentica e di alta qualità”, capace di restituire del suo autore “un profondo senso di responsabilità e il desiderio di contribuire al suo paese e alla sua gente”, come sottolineato dai giurati del Pritzker Architecture Prize. Più in generale, l’atteggiamento di generosità evidenziato anche dalle parole di Thorne è stato affiancato dalla propensione al dialogo e alla partecipazione proattiva: un approccio esteso anche alla sede fisica dello studio, con la porta lasciata sempre aperta per invitare i passanti a entrare. Senza essere schiacciato dall’eredità e dalla lezione di quello che lui stesso definì il suo guru, ovvero Le Corbusier, per il presidente del RIBA, Simon Allford, con il suo lavoro è riuscito a costruirsi la reputazione di “pensatore originale e indipendente, capace di disfare, rifare ed evolvere. Nel ventesimo secolo, quando la tecnologia ha facilitato molti architetti a costruire indipendentemente dal clima e dalla tradizione locali, Balkrishna è rimasto strettamente connesso con il suo territorio“. E chissà che la sua India non scelga di rendergli omaggio in grande stile, dopo avergli già attribuito in vita il Prime Minister’s National Award for Excellence in Urban Planning and Design (2000) e il successivo Padma Bhushan, Government of India (2020). Solo due fra le onorificenze e i premi di una carriera lunga e prolifica, scandita da opere che lui stesso paragonò a “un’estensione della mia vita”.

Per un approfondimento sull’architettura di Balkrishna Doshi, vi consigliamo la lettura di questa testimonianza e di questo ricordo entrambi scritti dall’architetto Giovanni Leone.

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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