Proseguono i lavori di costruzione del Museo Etrusco di Milano. Intervista a Giovanna Forlanelli

Abbiamo intervistato Giovanna Forlanelli, vicepresidente della Fondazione Luigi Rovati, al centro dell’iniziativa che porterà a Milano il primo grande museo di archeologia etrusca. Tra imprevisti e novità, ci ha raccontato come proseguono i lavori di costruzione e quale sarà l’identità di questo progetto.

Sono passati ormai due anni da quando Artribune dava la  notizia della prossima apertura di un Museo Etrusco a Milano. Un progetto ambizioso condotto dalla Fondazione Luigi Rovati, che ha scelto come sede il sontuoso palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro di Corso Venezia-52, dando il via a un restauro dell’edificio. L’idea nasce quando la famiglia Rovati acquista e fa rientrare in Italia dalla Svizzera una collezione archeologica di settecento pezzi, decidendo offrirne la fruizione al pubblico con attività culturali e interdisciplinari. La convinzione con cui si muove l’intero progetto è che una civiltà antica, se opportunamente studiata e contestualizzata, possa dire molto (e a tutti) sul tempo presente. Ce lo ha raccontato Giovanna Forlanelli Rovati, vicepresidente della Fondazione.

Il termine dei lavori, previsto inizialmente per la fine del 2018, è stato rimandato. Come mai?
Per una serie di ragioni: abbiamo variato l’assetto costruttivo e una serie di spazi, chiedendo la possibilità di scavare un ulteriore piano e fare delle modifiche al progetto. Questo ha comportato un’ulteriore richiesta di autorizzazioni da parte del Comune, rallentando i lavori.

E poi?
E poi abbiamo trovato testimonianza settecentesche e ottocentesche dello sviluppo dell’area all’interno del giardino e questo ha comportato uno scavo archeologico, essendo questo luogo vincolato.

A che punto sono i lavori ora?
Per quanto riguarda la stabilità progettuale della struttura, direi che siamo a buon punto. I termini di consegna dovrebbero essere a inizio autunno 2020. Inizierà poi la fase di allestimento, che però dovrebbe essere abbastanza rapida.

E quando vedremo il museo finalmente aperto?
Contiamo di aprire alla fine del 2020.

Quali sono le modifiche che avete fatto alla planimetria?
Abbiamo aggiunto un piano al -2 dove ci sarà un deposito, non aperto al pubblico se non in occasioni particolari. Vorremmo porre all’interno dei reperti visibili, non chiusi nelle casse, in modo che gli specialisti possano analizzarli. Al -1 rimane invece il progetto di Mario Cucinella, con le cupole in pietra. Questo e il piano nobile ospiteranno la collezione permanente.

Avrete una zona accoglienza?
Si, al piano terra, con biglietteria, caffetteria e shop museale. Ci sarà un auditorium al secondo piano assieme a uno spazio per esposizioni temporanee. Un’altra novità che abbiamo introdotto è il ristorante, che sorgerà all’ultimo piano.

Beh, state tirando su un progetto decisamente ambizioso…
La cosa fondamentale per noi, come fondazione, non è soltanto far restaurare un palazzo, costruire e metterci dentro una collezione. È un lungo processo di scoperta e studio dell’archeologia, che si allaccia anche alla città di Milano, per cui gli etruschi sono un simbolo dei moti risorgimentali e dell’unità d’Italia. È un progetto che va ben al di là dell’istituzione di un museo.

A proposito della collezione museale?
Dopo la prima collezione ne abbiamo acquisite altre, soprattutto italiane, notificate e mai esposte al pubblico, per restituirle alla città di Milano e a tutti i visitatori. Abbiamo anche acquisito il fondo librario del professor Camporeale che, con i suoi numerosi volumi, sarà di un’importanza storica per la città. Abbiamo già iniziato a collaborare anche con musei pubblici, cittadini e non, per poter avere in prestito dei reperti che possano contribuire a un percorso museale innovativo.

Di quali collaborazioni si tratta?
La prima è quella con il Comune di Milano: entreremo a tutti gli effetti all’interno della rete museale del Comune, pur essendo privati. Crediamo fortemente nella cooperazione tra pubblico e privato e continuiamo a portare avanti questa linea.

E poi?
La mostra Il Viaggio della Chimera aperta al Museo Civico Archeologico fino all’8 settembre e il convegno Immaginare l’Unità di Italia a Palazzo Litta sono frutto di importanti collaborazioni con il Comune di Milano, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano e l’Università degli Studi di Milano. Oltre a queste, ci sono progetti per collaborare con istituzioni nazionali e internazionali.

Cosa intendete con approccio innovativo all’archeologia?
Attività come laboratori, workshop e visite, che sono ormai imprescindibili per un museo oggi. Bisogna avere una collezione permanente e mostre temporanee. La collezione sarà composta da circa trecento reperti su quattromila che abbiamo già acquisito, quindi è necessaria una rotazione per valorizzare di volta in volta alcuni aspetti.

Come tratterete questi contenuti?
Introdurremo delle voci diverse perché l’archeologia è una scienza trasversale. Fare un museo di arte etrusca non vuol dire parlare delle tombe e delle necropoli, ma interpretare questi oggetti con un linguaggio contemporaneo e capire cosa questa civiltà ci stia dando in questo momento.

Ci sarà spazio anche per l’arte contemporanea all’interno del Museo Etrusco?
Stiamo studiando delle interazioni estetico-visive con alcuni artisti contemporanei. Ma non vogliamo che lavorino sul soggetto (sarebbe troppo banale chiedere all’artista di interpretare l’arte etrusca!), quanto che interagiscano con lo spazio: un fatto molto più contemporaneo.

– Giulia Ronchi

www.fondazioneluigirovati.com

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Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

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