Matera. La Capitale della cultura oltre la vergogna

Focus su AoS – Architecture of Shame, l’iniziativa diretta da Fabio Ciaravella, project leader del capitolo “Architettura della Vergogna” di Matera 2019.

Colto di profilo, tre dita sulla fronte, pensieroso: così venne ritratto, in uno scatto fotografico destinato a entrare nella storia, Alcide De Gasperi nel corso della sua visita a Matera, nel 1950. Da quel momento, sarebbero trascorsi mesi di battaglia politica prima che una delle più vaste operazioni intraprese da un governo italiano nel dopoguerra iniziasse a prendere forma, forgiando il destino di un luogo unico, dal fascino preistorico. All’approvazione della Legge n. 619 del 17 maggio 1952 – “Risanamento dei rioni dei Sassi nell’abitato del comune di Matera” – corrispose infatti l’abbandono delle case da parte di circa 17mila materani, due terzi degli abitanti della città.
La “dolente bellezza”, come l’aveva definita Carlo Levi, delle loro umili dimore all’interno dei celeberrimi Sassi sarebbe rimasta, almeno temporaneamente, priva di vita, mentre lo Stato si assumeva gli oneri per la pianificazione ed edificazione di nuovi quartieri – tra cui La Martella – e per il risanamento e la riqualificazione del Sasso Caveoso e del Sasso Barisano. Così facendo vennero poste le basi per il rilancio, imprenditoriale e turistico, di questa destinazione della Basilicata, divenuta negli anni sempre più attrattiva.

UOMINI E ANIMALI

Presenza imprescindibile nella lista dei più antichi agglomerati abitati del mondo, sconvolgente e sublime testimonianza di architettura spontanea approdata nell’era degli smartphone senza mai privarsi della sua peculiare impronta primitiva, Matera fu “scoperta” dal resto dell’Italia in modo doloroso, quasi “violento”. La città nella quale in molti sceglieranno di convergere in questo 2019, anno della sua definitiva riscossa e risurrezione come fierissima Capitale europea della cultura, è la stessa che provocò un’ondata di indignazione e scandalo quando la cronaca della quotidiana convivenza tra uomini e animali all’interno delle medesime cavità e le immagini delle condizioni di degrado delle famiglie contadine residenti raggiunsero diffusione a livello nazionale.
Molte delle persone che poseranno per la prima volta gli occhi sul suo ancestrale skyline sassoso, attratte da un programma che ne potenzierà l’offerta culturale per 48 settimane, con qualche iniziale diffidenza potranno cogliere il senso dell’espressione “Vergogna d’Italia”, associata a Matera nel secondo dopoguerra. E, c’è da scommetterci, quando penetreranno, smaniosi di perdersi in solitarie esplorazioni, nel suo dedalo di vicoli, salite, grotte e cortili, in quelli che un tempo furono i suoi caratteristici “vicinati”, si domanderanno cosa li abbia trattenuti dal raggiungere prima quella porzione di mondo antico miracolosamente giunta fino a noi.
Un mondo perduto e, poi, ritrovato, nel quale si è compiuto quello è stato definito “un doppio atto di civiltà”: prima spopolando la “Matera storica”, poi fornendo un’alternativa ai suoi abitanti. E oggi, proiettata ancora verso il futuro, la città continua a esistere e a incarnare una storia esemplare.

Architecture of Shame, Matera, 2019. Photo Luca Centola

Architecture of Shame, Matera, 2019. Photo Luca Centola

QUANDO MATERA ERA UNA VERGOGNA

Non c’è concordia nell’assegnare la paternità dell’espressione Matera vergogna d’Italia”, racconta ad Artribune l’artista e architetto Fabio Ciaravella, direttore artistico di AoS – Architecture of Shame, che con gli architetti Cristina Amenta e Mimì Coviello è project leader del capitolo Architettura della Vergogna di Matera 2019. “Ci sono tre, quattro versioni. Per alcuni, a coniare questa formula fu De Gasperi, durante la visita del 23 luglio 1950. C’è chi sostiene che a pronunciarla sia stato Togliatti, giunto a Matera due anni prima; per altri, il primo a usarla sarebbe stato Nitti, direttamente in Parlamento. E c’è anche la teoria secondo la quale nessun politico l’avrebbe mai pronunciata, ma sarebbe stata coniata dai giornalisti interpretando una ‘mezza parola’ uscita dalla bocca di De Gasperi”.
Nell’incertezza delle radici storiche, la relazione fra architettura e vergogna ha negli anni acquisito la solidità di un pilastro nella narrazione sulla città lucana, a tal punto da indirizzare e guidare l’attività di ricerca avviata da AoS. “Quante architetture, quartieri, città che provocano in noi un senso di Vergogna, domani potrebbero essere riconosciuti Patrimonio dell’Umanità? Quanti luoghi, dove oggi viviamo nella più completa normalità, rappresentano una contraddizione tale dei nostri valori, da poter generare un sentimento di Vergogna?”. Sono questi i due assi portanti di un’azione che, pur prendendo le mosse dalla metamorfosi materana compiuta nel corso di quattro decenni – da “Vergogna d’Italia” nel 1952 a Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 1993, fino all’elezione a Capitale europea della cultura, a conclusione del percorso intrapreso nel 2008 –, ha fornito al team le basi per “produrre un pensiero critico sulla contemporaneità”, definendo attraverso “la scusa della Vergogna, il quadro di riferimento dei valori europei e internazionali che sostengono le scelte dell’architettura come esito di volontà politiche e umane”.

FRA INTIMO E COLLETTIVO

Prendendo come riferimento teorico la cosiddetta “Idea di Intimità Culturale” elaborata dall’antropologo Micheal Hertzfeld, i ricercatori di AoS collocano la vergogna – e la sua condivisione – tra “i valori origine di imbarazzo attorno ai quali le comunità delle minoranze si riuniscono davanti alla cultura dominante”. Una tesi in base alla quale “non solo i grandi valori nazionali, la potenza economica, quella militare, sono collanti tra le persone, ma anche alcune fragilità dell’essere umano”, rivelandosi capaci di generare legami altrettanto rilevanti tra i popoli.
Tale presupposto, unito alla consapevolezza della profonda relatività del modo in cui percepiamo le architetture o le città, fornisce l’orientamento per il percorso di analisi che AoS curerà all’interno del palinsesto di Matera 2019. “Questo sentimento di imbarazzo che due o più persone possono condividere rispetto a una cultura dominante di fatto è anche il germe che fa nascere grandi ribaltamenti ed evoluzioni culturali”, prosegue Ciaravella. “La nostra ricerca si configura come un dialogo sulle identità europee, ma condotto al contrario. Osservando il dibattito in corso in merito all’identità europea, oggi emerge come al centro sia stata posta la ricerca dei valori positivi che condividiamo. Invece, la nostra proposta punta a porre enfasi sulla condivisione delle nostre comuni vergogne, almeno di quelle che riconosciamo come tali a livello architettonico. Al resto dell’Europa stiamo chiedendo: di che cosa ci vergogniamo nelle nostre città, nei nostri territori? Ci vergogniamo della stessa porzione di patrimonio? Perché non mettiamo in condivisione questo sentimento? Noi crediamo che potrebbe così sorgere un processo indirizzato alla nascita di una identità alternativa, che permetterebbe di vedere l’Europa da un altro punto di vista”.

Architecture of Shame, Matera, 2019. Photo Luca Centola

Architecture of Shame, Matera, 2019. Photo Luca Centola

HAPPY BIRTHDAY SHAME

La duplice natura del progetto di AoS per Matera 2019 riflette questo impianto teorico. “Matera è di fatto un’opera incompiuta perenne. È stata una periferia dimenticata e poi è diventata risorsa per il territorio, intrecciando la propria storia con la stagione degli investimenti pubblici nell’edilizia popolare. È un luogo fortemente legato alla forma degli insediamenti informali e al mondo agrario”, sottolinea Ciaravella, introducendo una delle due “matrici” dell’iniziativa. Infatti, accanto a una prima parte che è esplicitamente connessa con la storia e l’unicità materana, il progetto affianca un secondo livello, finalizzato all’analisi degli scenari che attraversano l’Europa contemporanea. Il risultato è un progetto unitario ma diviso in otto capitoli: quattro principali e locali; quattro secondari e di respiro più ampio. “Complessivamente intesi, confluiranno in una mostra nel seminterrato dell’Archivio di Stato, che sarà inaugurata il 23 luglio 2019”, precisa il direttore artistico. Una data non casuale, ma che coincide con la visita di De Gasperi a Matera – il 23 luglio 1950 –, vista come presumibile genesi “della mitologia della relazione tra architettura e vergogna”. Una data che darà il via alla settimana – fino al 27 luglio – in cui sarà celebrato il “compleanno e il ribaltamento della vergogna”. Vari interventi nello spazio pubblico, legati ai quattro capitoli principali, si terranno in città, affiancati da workshop, una mostra presso l’archivio di Stato di Matera, dialoghi e feste. “Ogni giorno di quella speciale settimana si terrà una festa a tema. Quindi, ogni 23 del mese, fino al 23 novembre, si terranno incontri legati ai quattro capitoli “minori”.

UNA PIATTAFORMA E UNA BIENNALE DI RICERCA

Sul sito di AoS, in parallelo, una piattaforma di ricerca consentirà di visualizzare “la geografia delle possibili relazioni tra architettura e vergogna” su una scala non solo nazionale, raccogliendo “i luoghi o le architetture legate al sentimento della vergogna, le persone incontrate, i progetti virtuosi, le esperienze coinvolte e restituisce un’immagine dell’identità europea attraverso il confronto emotivo e sociale sulla vergogna”.
Ai prossimi decenni guarda già con propositività e lucidità il gruppo di Aos. “Pensiamo anche al futuro. La visione che abbiamo del nostro progetto si proietta oltre l’esperienza di Matera 2019”, anticipa ad Artribune Ciaravella. “L’obiettivo è creare a Matera una biennale di ricerca, strutturata secondo una forma bipartita: il primo anno e mezzo sarebbe dedicato all’attività di ricerca; nel semestre di apertura si metterebbero in atto le iniziative direttamente in città. Tutto, naturalmente, sul tema della vergogna e con lo sguardo proteso verso la dimensione europea”.

Valentina Silvestrini

www.architectureofshame.org

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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