
Era la fine dell’estate 2024 quando sui social cominciò a girare all’impazzata la notizia di un ragazzo che stava aprendo una bottega artistica-artigiana in Puglia, per far rinascere il mestiere del letterista e dell’insegnista. Le prime foto, il racconto calmo e preciso di questo antico lavoro, la bellezza della foglia d’oro, del vetro e dello smalto: internet si è innamorato. Ed è difficile non farlo, conoscendo ancora meglio il lavoro di Lillo Loris, graphic designer e lettering artist freelance classe 1994, e la sua Alla lettera.
















Chi è Lillo Loris
Prima di riscoprire il mestiere di letterista, Lillo Loris era già appassionato di lettering, graffiti e calligrafia. Originario di Monopoli, si è trasferito a Milano una decina d’anni fa per studiare Graphic Design e Art Direction alla NABA Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Poi ha passato alcuni anni a lavorare per attività, brand e altri artisti (per esempio per le copertine dei dischi), avvicinandosi al mondo delle insegne. Una tradizione interrotta, che lui ha recuperato a partire da un corso di del sign painter americano Mike Meyer e poi approfondito con dedizione.

L’atelier e bottega artigiana Alla lettera
Ha recuperato l’antica tecnica delle insegne dipinte a mano e la sua gestualità: usa lo spolvero, lo smalto e la foglia d’oro, che reperisce dal produttore fiorentino (attivo dal 1600) Giusto Manetti Battiloro. Poi, la decisione: lasciare Milano, tornare in Puglia e aprire un atelier che fosse anche bottega. Così ha aperto Alla lettera in uno spazio caratteristico in Via Martucci, a Conversano (provincia di Bari), dentro un’abitazione vuota da cinquant’anni messa a disposizione dalla Fondazione d’Arti per ripopolare il centro storico della cittadina. A quel punto, complici gli studi nell’ambito video dei tempi del liceo, si presenta sui social con un taglio di narrazione tra il meditativo e il brillante, che lo porta presto al boom su Instagram e TikTok. Intanto, sono arrivati lavori importanti, come l’insegna per il 250esimo anniversario della celebre Libreria Bocca di Milano, in Galleria Vittorio Emanuele, l’azienda libraria più antica d’Italia oggi specializzata in libri d’arte.

L’intervista al letterista Lillo Loris
Com’è andato questo primo anno con la tua bottega?
Non posso ancora tirare delle somme, è stato un anno di grandi assestamenti. Mi sono trasferito con molta leggerezza, dopo dieci anni a Milano: sapevo che sarebbero potute cambiare le circostanze, ma non avevo valutato tutto l’impatto umano e personale.
Cosa è cambiato?
Prima di tutto, l’interesse mediatico sul progetto e il mestiere in generale: fino a ieri andavo ancora a portare i campioni e avevo pochi lavori tra cui scegliere, ora devo fare anche una scelta editoriale per evitare di farmi mangiare dall’offerta. Sono assolutamente consapevole che sia un privilegio potersi fermare e scegliere. Sono tutte dinamiche nuove, e da un punto di vista creativo-artistico hanno anche il loro peso sulla parte emotiva. E la salute mentale è fondamentale! Ma, dopo l’assestamento, sto vivendo il momento più felice della mia vita.
Perché hai scelto di tornare nella “tua” Puglia?
Avevo bisogno della natura. E dopo il Covid i miei cerchi sociali si sono rotti e ho capito che avevo bisogno di una nuova dimensione umana. Poi cercavo uno spazio più grande, e a Milano era impossibile, anche pagando: c’è sempre la gara delle garanzie con le aziende! La bottega è arrivata collateralmente, grazie a un’associazione che dà in gestione i vecchi stabili agli artisti e artigiani per ripopolare i centri storici, senza far diventare tutto Airbnb. È stato bellissimo arrivare e, invece di vedersi respinto perché artista, come mi era successo in precedenza, sentirsi desiderato e visto per quello che sono.

Il mestiere del letterista secondo Lillo Loris
Com’è fare il letterista?
È un mestiere molto interpretativo, se fatto bene. Mi sorprendo ancora di quanto tempo ci voglia a fare le cose bene! C’è una grande ricerca dietro, e quello che voglio fare grazie alla bottega è sia far rivivere le lettere come mestiere nell’immaginario collettivo, creando un futuro ricordo nella mente dei ragazzi di oggi, sia lavorare giorno per giorno tra commissioni e ricerca artistica sperimentale.
Come ti ci sei avvicinato?
Mi è sempre interessato il mondo delle lettere, anche se non è stato un percorso lineare. Quando ero ragazzino passavo ore a disegnare lettere ispirate ai graffiti, mi sembrava la loro applicazione più coraggiosa. Poi, attraverso i videoclip hip hop, c’è stato un grande ritorno della calligrafia e della sua gestualità, e me ne sono innamorato. Poi ho studiato all’università, sono passato dal pc al lavoro a mano. Ho provato di tutto, ma sono sempre tornato lì.
È sempre pensando alle lettere che hai lanciato una call per “salvare” le insegne storiche con un archivio digitale.
Dovunque si cammini basta guardarsi intorno per vedere che tutto era disegnato a mano: i civici, le insegne, i nomi delle vie. C’era una preziosità tecnica e creativa che non può lasciare indifferente. Io ho sempre fotografato le insegne, pensando che magari non l’avrebbe fatto nessuno, scoprendo storie incredibili: mi ricordo, a Milano, questa insegna di una macelleria in foglia d’oro su vetro, e sotto si intravedeva un’altra insegna simile ma in smalto. Allora ho pensato che gli affari gli fossero migliorati con gli anni e che quindi avessero messo la nuova insegna più preziosa sulla vecchia. È tutta lì la nostra eredità grafica. Quindi ho deciso di fare una chiamata social per segnalare insegne interessanti e fare dei tour, e recuperando anche le storie degli insegnisti, che sono a tutti gli effetti estinti.

I loro laboratori non sono più attivi?
A volte ci sono ancora, ma non c’è più la generazione che ha dipinto quelle perle. Nelle loro botteghe ci sono i figli o i nipoti, ma il lavoro non è quello autentico dei maestri, è più improntato a mantenere aperta l’attività senza romanticismi. Questo è un lusso che possiamo permetterci noi, che siamo arrivati dopo: dare priorità alla sensibilità e al gusto.
L’interesse per questo mestiere secondo te crescerà?
È tutto talmente digitale, soprattutto con l’intelligenza artificiale, che secondo me è proprio il momento perfetto per fare un mestiere artigianale. Ho amici che hanno scelto di tenere una professione digitale e ora sono nei guai. All’opposto, l’interesse per i mestieri artigianali è alto, e crescerà ancora. Anche se il contesto è un po’ distopico, è il momento perfetto per cominciare.
Vorresti, un giorno, fare l’insegnante per le nuove generazioni?
Sto aspettando di non poter fare a meno della necessità fisiologica di insegnare. Non vorrei farlo solo perché c’è grande richiesta e opportunità: è un concetto che applico a tutto quello che faccio. Sicuramente qualche piccola experience per sensibilizzare e raccontare la farò presto, ma nutro un grande rispetto per i maestri, e ancora non sento di essere lì. Devo in un certo senso superare la sindrome dell’impostore, e vedermi come parte attiva nella rinascita, anche didattica, di questo mestiere. Sempre però prendendomi cura di me stesso e creando un ambiente sano e creativo.
Giulia Giaume
Alla Lettera
Via Martucci, 54
Conversano (BA)
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