A Mendrisio una mostra per scoprire la nuova architettura giapponese
La mostra “Make Do With Now. Nuovi orientamenti dell’architettura giapponese” riunisce a Mendrisio idee e progetti della generazione di progettisti attivo dopo il cruciale anno 2011. Il curatore Yuma Shinohara delinea le sfide che attendono architetti e urbanisti locali.

Nell’anno di Expo 2025 Osaka, il Teatro dell’architettura Mendrisio (TAM) dell’USI indaga l’architettura giapponese contemporanea con una mostra sulla generazione di architetti e urbanisti attiva da dopo il 2011. Progettisti nati tra la metà degli Anni Settanta e la metà degli Anni Novanta che si sono misurati con il terremoto del Tohuko, il disastro di Fukushima e le loro conseguenze. Con un percorso espositivo scandito in due sezioni (e un ciclo di incontri sul canale Vimeo dell’Accademia di architettura), la mostra a cura di Yuma Shinohara evidenzia le traiettorie progettuali e concettuali che attraversano il paese asiatico, solido protagonista dell’architettura globale anche grazie al rilevante numero di progettisti insigniti del Pritzker Prize.
Una continuità progettuale: l’architettura giapponese a Mendrisio
“Tutti i giovani architetti con cui ho parlato esprimono profondo rispetto per i loro predecessori – molti dei quali sono stati anche loro maestri – e considerano il proprio lavoro come il frutto di una storia architettonica stratificata” spiega Yuma Shinohara, che sulla relazione tra la generazione in mostra e quella precedente – che include punti di riferimento globale, da SANAA a Kengo Kuma & Associates, passando per Sou Fujimoto a Junya Ishigami – si esprime in termini di “notevole continuità”. Pur venendo meno il modello dell’architetto-autore, “molti architetti contemporanei stanno infatti rivisitando i metodi sviluppati dai giovani architetti degli Anni Novanta, un periodo in cui anche il Giappone stava attraversando una crisi economica. Inoltre, si potrebbe sostenere che gli emergenti di oggi stiano proseguendo lo spirito sperimentale nella progettazione spaziale che aveva caratterizzato la generazione precedente, seppur con nuovi strumenti e approcci” prosegue.
Contemplare la dimensione dell’adattamento al TAM
Lo scenario attuale e le prospettive future indirizzano i progettisti in mostra a contemplare la dimensione dell’adattamento: alle risorse limitate, ai materiali già disponibili, al patrimonio edilizio esistente. Un atteggiamento che lascia margini di espressione all’inedito concetto di “imperfezione”, concepito dall’immaginario collettivo come distante dal contesto giapponese. Sollecitato sulla potenziale collaborazione tra Italia e Giappone nell’affrontare le comuni sfide legate a denatalità, sismicità e alta aspettativa di vita, il curatore rivela idee chiare. “Il primo passo è consentire un maggiore scambio di informazioni. A causa della persistente barriera linguistica, molto di ciò che accade e di cui si discute in Giappone rimane in gran parte inaccessibile all’Europa, e viceversa. Il Giappone ha un ricco dibattito architettonico, con molte idee innovative per affrontare le sfide contemporanee attraverso la pratica, ma di questo troppo poco viene tradotto. Inoltre, l’indebolimento dello yen ha reso ancora più difficile per i giovani architetti giapponesi viaggiare all’estero e presentare il proprio lavoro a un pubblico internazionale. Sebbene i social media offrano ora maggiori opportunità per i professionisti di connettersi oltre confine, credo che mostre come questa e istituzioni come musei e università abbiano ancora un ruolo importante – e di fatto una responsabilità – nel facilitare questo scambio invitando gli architetti a presentare il loro lavoro in altri contesti e svolgendo l’attento lavoro di traduzione (sia in senso letterale che concettuale) in modo che ciò che hanno da dire emerga chiaramente”.
Il Giappone vuoto?
Nel catalogo che accompagna la mostra Make Do With Now. Nuovi orientamenti dell’architettura giapponese, il saggio di Yuma Shinohara indica che il numero di case sfitte in Giappone potrebbe raggiungere il 30% entro il 2038. Un problema serio con il quale le generazioni emergenti dovranno misurarsi e che, con modalità distinte, affligge sia nelle zone rurali che urbane “dove è spesso distribuito in modo non uniforme: le aree centrali ricevono continui investimenti e vengono regolarmente riqualificate e, i quartieri periferici hanno spesso difficoltà ad attrarre investimenti di capitale e si ritrovano quindi con un’infrastruttura obsoleta che risale ai decenni di forte crescita del dopoguerra, quando questi quartieri erano intensamente sviluppati”, precisa il curatore. Di conseguenza “è anche qui che tendono a concentrarsi le case sfitte. I teorici urbani giapponesi usano il termine “spongificazione” per descrivere tale fenomeno. A differenza del modello storico di crescita, tipicamente unidirezionale, dal centro verso l’esterno, il processo di decrescita è decentralizzato e multidirezionale. Case vuote compaiono sporadicamente all’interno del tessuto urbano, creando vuoti in tutta la città. Col tempo, la città stessa diventa come una spugna, riempita da numerosi piccoli vuoti casuali. Questa situazione richiede una forma di pianificazione diversa da quella storicamente praticata in Giappone, che si è sempre concentrata sul controllo e la canalizzazione della crescita”. E all’architettura spetta un ruolo chiave in questo processo, ad esempio “attraverso l’inserimento chirurgico di singoli edifici che contribuiscono a riparare/rafforzare le strutture di quartiere indebolite” conclude Yuma Shinohara.
Valentina Silvestrini
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