Alberto Garutti secondo Angela Vettese. L’arte pubblica e il valore della vita

La critica d’arte Angela Vettese ricorda l’artista recentemente scomparso, evidenziandone la capacità di far riflettere e discutere sul senso dell’esistenza

Ricordo con esilarante piacere quando Alberto Garutti (Galbiate 1948 – 2023) condivideva i suoi dubbi con mio marito. Noi stavamo a Pontremoli, a due ore da Milano, per lunghi periodi. Lui si metteva in macchina e veniva anche per parlare soltanto un’ora e poi tornare a casa. Parlando di come realizzare Ai Nati Oggi per il Giubileo del 2000 in via della Conciliazione – un progetto che non è andato giù a qualcuno e che non si è mai realizzato, ma che era stato molto appoggiato da Luigi Zanda – era così agitato che andammo al ristorante. Lui non aveva fame, solo voglia di masticare. Risultato: prese tre volte la stessa mousse al cioccolato. Era ossessionato dal piacere di portare quell’opera così laica vicino al Vaticano, ma anche deluso, quasi offeso sia da coloro che la ritenevano troppo religiosa e addirittura antiabortista, sia dai credenti che non la ritenevano abbastanza ortodossa.

ALBERTO GARUTTI E L’ARTE PUBBLICA

È una contraddizione che si mise in evidenza già all’inizio, quando Tullio Leggeri mise Giacinto Di Pietrantonio e me nella commissione per la scelta di un’opera da realizzare a Bergamo per conto dell’associazione costruttori (ACEB), direi attorno al 1996-97. Non a caso l’opera vinse il concorso, fu installata con fatica in una piazza del centro bergamasco, ma credo che non funzioni più. Questo era il grande potere di Alberto: con poco, insistendo solo sul valore della vita, scatenava discussioni acerrime e tentativi di boicottaggio. La sua ambizione di essere leggibile, comprensibile, universale e a modo suo persino popolare cozzava contro questioni di lana caprina che in effetti nascondevano divisioni politiche e posizioni sul senso dell’esistenza. Vivere: sì, è un valore e lui voleva celebrarlo. Ma si può celebrare la vita di un bambino volutamente senza padre, volutamente con due madri, o senza cittadinanza, o senza prospettive di battesimo o altra appartenenza a una comunità religiosa? Non tutti i “nati oggi” sono uguali. Lo sapeva. In modo sornione, insisteva su questo doppio canale: tutti sappiamo che nascere è un indubbio inno all’essere, qualsiasi cosa si intenda con “essere”. Ma non tutti sono d’accordo su come pensare l’essere, e molti lo vorrebbero solo usare. Nascere è un atto innocente, ma è anche l’inizio di una battaglia di potere perpetrata sul tuo corpo, dapprima, e poi sulla tua acquiescenza alla comunità. Alberto, così poco politico, ha fatto opere solo sui più semplici ma anche i più controversi atti politici, dall’innamorarsi al viaggiare, dal voler bene al proprio cane all’esprimere un desiderio, accendendo una candela a distanza o accarezzando il piede di una Madonnina ceramica.

Angela Vettese

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Redazione

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