Il misterioso artista che dipinge su vetro le leggende di Alicudi

È celato da uno pseudonimo carico di suggestione il lavoro di un artista che ha trovato il suo posto ad Alicudi. Fra leggende popolari, trombe marine e donne magiche

Convive con Calogero ‒ un teschio in ceramica di Caltagirone ‒ ad Alicudi, la più remota delle isole Eolie. Dipinge sul vetro le immagini delle epiche leggende popolari. Non dice volentieri la sua età, il suo vero nome né dove ha vissuto prima di approdare qui. Abbiamo intervistato Roberto di Alicudi Contessa Schifanoja (Napoli, 1975).

Ti affascinano le leggende ma anche la tua vita qui alle Eolie inizia come una trama.
Quando sono arrivato alle Eolie, c’era a Stromboli un solitario pittore tedesco, Jürgen Wegner, che viveva proprio nella casa dove vivo io, ed è morto annegato in quel periodo. Era un “pincisanti”, come chiamano qui i pittori su vetro. Per una pura coincidenza, ho forse ricevuto qualcosa dalla sua eredità. Ho iniziato a sperimentare questa tecnica che impiega smalti colorati e brillanti da stendere sul retro senza possibilità di sfumature, e questo mi piaceva molto anche perché il vetro si adattava meglio alle pareti della mia casa, sempre un po’ umide.

E qui hai trovato, nelle leggende popolari eoliane, anche i tuoi soggetti: il curtigghiu, l’infocata, stranizza d’amuri…
Attingo da quello che mi viene raccontato dagli anziani dell’isola perché qui c’è una inesauribile tradizione narrativa. Sono molto affascinato dai temi del paranormale delle isole: Alicudi ha tutta una tradizione legata ad esempio alle Mavare, donne magiche che dopo aver pronunciato degli incantesimi si dice che possano volare nottetempo sulla terraferma e vivere liberamente tutta la notte tra sesso e ruberie senza censure e senza regole, trasportate in un’altra vita senza giudizio e senza condanna, per rientrare nel loro letto alle prime luci dell’alba e risvegliarsi accanto al marito come niente fosse. Ma hanno appena trascorso la notte con il demonio. C’è poi la leggenda della capra bianca, che ti appare di notte con un indovinello, e se sai rispondere sei salvo ma se non sai la risposta la capra ti ruba l’anima. Alicudi è piena di storie come queste, legate anche ai fenomeni naturali di quest’area come le “trombe marine”, piccoli tornado che hanno scatenato un immaginario vastissimo di leggende e credenze come quella di poterli spezzare in due grazie a un rituale segreto che si tramanda la notte di Natale. La tromba marina e le Mavare sono tra i miei soggetti preferiti.

So che intrattieni una intensa relazione anche con La Fulminata.
La Fulminata è un quadro al quale sono particolarmente affezionato e illustra la storia di una donna morta una notte a causa di un fulmine che ha colpito la testiera in ferro del letto coniugale. Ad Alicudi c’è la sua tomba che ho scoperto per caso e dove è incisa anche la sua età, 44 anni. A me è sembrato un messaggio molto chiaro e ho diverse forme apotropaiche di relazione con questa lapide: la pulisco, la decoro, porto omaggi… e sento che devo farlo, lo vivo come un dovere.

Contessa di Alicudi Schifanoja, Stranizza d'amuri

Contessa di Alicudi Schifanoja, Stranizza d’amuri

L’ARTE DI ROBERTO DI ALICUDI CONTESSA SCHIFANOJA

Difficile vivendo qui tracciare un vero confine tra immaginazione e realtà: l’isola ti fa sentire un po’ come in uno stato di dormiveglia.
L’aspetto che mi piace di più della mia vita sull’isola è proprio che non c’è un vero confine tra queste storie e la realtà, tutto si mescola e tutto si tiene. I problemi che affronti ogni giorno, come ad esempio la mancanza dell’acqua, hanno anche qualcosa di surreale, di magico, di inafferrabile. È come se a ogni cosa corrispondesse un suo doppio che appartiene alla leggenda ma anche al quotidiano. In ogni realtà c’è una piccola magia, e se pensi che qui siamo circondati da crateri, non è poi così strano sentirsi sempre sull’orlo dell’irrazionale. E allora per me la cosa più importante alla fine è vivere, e forse morire, nella bellezza.

La tua ultima personale alla galleria Amaneï a Salina però si intitola Camurrìa, che in siciliano indica un fastidio, una fatica.
Camurrìa definisce qualcosa di complicato, che implica uno sforzo, come sbrogliare i nodi di una rete o sopportare un discorso ripetitivo e noioso. La Camurrìa per me è l’impossibilità di distrarsi dal particolare, quando inizi devi finire perché se si secca il colore è un problema, quindi è una bella camurrìa, molto meno semplice come tecnica di quanto si possa intuire dal quadro finito. Ho scelto questo titolo perché dipingere su vetro è molto complicato, intanto devi dipingere sul retro, quindi al contrario; devi partire dal particolare mentre il fondo, che sarebbe l’inizio, è l’ultima cosa che dipingi, e non hai mai la visione d’insieme finché non giri il quadro finito e lo vedi frontalmente. Il processo della pittura su vetro è esattamente l’opposto di quello della pittura su tela, si parte dal dettaglio e via via si va verso il totale. Infatti se guardi un mio quadro dal retro non capisci l’immagine frontale, sono tutte macchie astratte sovrapposte. Anche quella è una piccola magia.

Anche i vetri e le cornici che usi hanno una storia, che inizia molto prima che tu li dipinga.
Non dipingo su qualunque superficie di vetro, cerco con molta cura dei vetri da riciclare che trovo in finestre o vecchi mobili spesso di case abbandonate. Recupero vetro e cornice anche da quadri di santi o foto di famiglia che sono stati appesi per generazioni nelle case eoliane. Quando li smonto spesso trovo chiavi nascoste di chissà quali serrature, lettere d’amore della prima guerra, fiori seccati con cura da decenni… e allora sento che questi vetri che dipingo sono già stati attraversati da altri sguardi, da altri pensieri, da altri segreti. È un valore aggiunto alla preziosità del quadro, che lo trasforma quasi in feticcio.

Come è successo che questa tua attività un po’ segreta, svolta ai margini del mondo in totale solitudine, diventasse tanto popolare?
Davvero non lo so! Ho sempre amato disegnare, ma non ho fatto nulla per entrare nel mondo dell’arte e tantomeno del collezionismo, anzi ho guardato a questo mondo con un po’ di soggezione, mi sembrava un ambiente che necessitasse di un po’ di spocchia, di una certa determinazione al successo, che non ho mai avuto. Facevo queste cose per me, per gli amici che frequentavano l’isola, e in questo piccolo gruppo destavano un certo interesse, c’era una curiosità. Allora li ho esposti al mercatino dell’isola, il 15 agosto, e sono andati benissimo. Da lì ha preso forma l’idea che potessero essere come degli strani souvenir, che per Alicudi era già una novità, visto che da quest’isola non c’è nulla da portare via, se non i ricordi e qualche conchiglia.

Dei souvenir molto sofisticati, che hanno presto varcato i ristretti confini dell’isola.
Uno dei quadretti venduti al mercatino è finito in una casa di Alicudi dove per caso è stato intercettato da una dotata e sensibile fotografa “di mare”, Elena Braghieri, molto seguita su Instagram, e a lei il mio lavoro è piaciuto tanto. Le hanno detto che ero un tipo schivo e così è spuntata sulla mia terrazza di Alicudi in una giornata estiva caldissima fingendosi interessata ad affittare temporaneamente la mia casa. Poi mi ha confessato che voleva incontrarmi e approfondire la conoscenza del mio lavoro, e infatti ne ha comprato uno.

Avresti dovuto regalarglielo.
Certo! Ma allora non sapevo nemmeno che cosa fosse una blogger né tantomeno il significato di follower anche se lei… ne ha centomila! Ha pubblicato quel mio piccolo smalto su vetro e da lì è stato un boomerang. Fino a quel momento dialogavo solo con il mare e le sue leggende e mi sono trovato al centro di un interesse planetario per il mio lavoro.

Questo ha modificato il tuo rapporto con il tuo lavoro, con il pubblico, con l’isola?
No, però continuavano ad accadere intorno al mio lavoro piccoli episodi sorprendenti e imprevedibili. L’anno scorso ho fatto una mostra ad Alicudi del tutto piratesca occupando un rudere, mettendoci i miei quadri sì, ma senza la minima pretesa di un pubblico e alla fine lo sapevano tutti e si sono create tante magie: è venuto Erlend Øye dei Kings of Convenience a suonare, lo ha accompagnato Fabrizio Cammarata in un rituale del tutto inaspettato e davvero non so quale attrazione si fosse creata ma abbiamo celebrato insieme forse l’amore per l’isola, per la natura, per quel qualcosa di immateriale che tutti viviamo, anche senza saperlo spiegare.

Contessa di Alicudi Schifanoja, Sperdutezza, 40x35 cm

Contessa di Alicudi Schifanoja, Sperdutezza, 40×35 cm

ROBERTO DI ALICUDI CONTESSA SCHIFANOJA E LE ISOLE EOLIE

Forse a forza di dipingere e illustrare fiabe, credenze, rituali e fantasie qualcosa si manifesta nel mondo reale, anche perché, insieme alle leggende del passato, inserisci anche il tuo ricco immaginario cinematografico.
Amo molto il cinema, che vedo sempre come un racconto per immagini in superficie, un po’ come i miei vetri. Non solo Antonioni, Pasolini, Rossellini, che in un certo senso mi hanno introdotto all’amore per questa parte del mondo, ma anche Roman Polański e Werner Herzog. Nel mio lavoro – ma anche nella mia vita ‒ non riesco a prescindere da quella lanterna magica infinita.

Hai un altro amore, un’arte considerata assai meno nobile… la televisione!
Il mio stile di vita sull’isola è così rarefatto… d’inverno scende il buio alle cinque e in quel momento mi sembra perfetto guardare un reality come Il Grande Fratello, l’Isola dei Famosi o Temptation Island. Guardare i reality da qui è un istante di perfezione, sono programmi che toccano temi eterni come il tradimento, l’ira, l’inganno e tutto quello che hanno combinato già gli dei e allora mi sembra una specie di mitologia contemporanea: c’è la bellissima, il muscoloso, vizi, passioni… tutti i sentimenti umani, quindi di sempre. Erano già tutti presenti nell’Odissea.

Mi sembra che tu abbia inventato anche un nuovo stato d’animo, la “sperdutezza”.
Sperdutezza è il titolo di un mio vetro, dove è rappresentata una donna abbandonata alla natura delle isole al punto che i suoi capelli sono una verdissima pianta di cappero. Mi piaceva l’idea di perdersi e quasi confondersi nella natura, che è quello che spesso sperimento anch’io. Una pratica pericolosa ma salvifica e in questi tempi così difficili mi sembra che perdersi nella natura sia una via di fuga percorribile. Almeno per me.

Dove vorresti vedere riprodotta una tua immagine?
Sarei felice di realizzare un’etichetta per un bel vino siciliano. Mi piacciono le realtà imprenditoriali storiche: Tasca d’Almerita, Planeta, Caravaglio. Mi sembra un modo sano di conservare il legame con il territorio e di promuovere la bellezza. E mi piace bere.

Alessandra Galletta

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