Essere curatrici indipendenti oggi. La storia di Caterina Avataneo

Quali sono le peculiarità del lavoro di un curatore indipendente? E quali dinamiche costituiscono il rapporto con gli artisti? A rispondere è Caterina Avataneo, assistente curatrice del Padiglione Lituania per la 58. Biennale di Venezia, vincitore del Leone d'Oro, e attualmente membro del team curatoriale per il programma di residenza presso Cripta747

Il lavoro del curatore è svariato e multisfaccettato. Innanzitutto, come suggerisce la parola stessa, curare implica “prendersi cura”… delle opere, degli artisti, dei visitatori. Il curatore deve sapersi immedesimare nell’altro, gestire decisioni tecniche, organizzative e amministrative, lasciando agli artisti la mente libera per la creatività. Il curatore deve mediare, contestualizzare i lavori nello spazio e i lavori tra loro, senza dar nulla per scontato e rendendo idee complesse accessibili, ma non semplificate. Curare ha una dimensione etica fondamentale, perché significa negoziare utenze e committenze assicurandosi che mai ci si dimentichi che essere artisti è un lavoro, non una passione.

Hypersurface. Installation View at Austrian Cultural Forum, Londra 2020

Hypersurface. Installation View at Austrian Cultural Forum, Londra 2020

COSA SIGNIFICA FARE IL CURATORE

Fare il curatore, poi, non è solo un lavoro pratico, ma anche creativo e critico. Significa essere aggiornati, osservare le dinamiche del mondo e capirne le radici; dal momento che l’arte non è per – distaccata dalla vita – ma contingente e legata al contesto storico, politico, culturale e sociale, nonché allo spazio e alle esperienze vissute.
Ciò che più mi piace dell’essere curatrice è che curare significa lavorare insieme, e soprattutto non smettere mai di imparare. La curatela ha il potenziale enorme di agire sulle dicotomie della modernità per complicarle, parlando attraverso il pensiero e il lavoro di artisti, ricercatori e teorici e approcciandosi a questi come una lente, o meglio un caleidoscopio, che rivela complessità e molteplici possibilità del reale.
Dal 2015 curo mostre e progetti presentando prospettive che deviano dalle interpretazioni dominanti della realtà. Ho esplorato nozioni di tempo lineare, misticismo, liminalità, contagio, superficie e natura; e negli ultimi anni mi sto dedicando all’oscuro e al negativo. Nei miei progetti sono trasversale e intuitiva, mescolando medium e generazioni. Nel tempo ho costruito rapporti profondi e di stima con artisti, che si sono tradotti nell’esigenza di lavorare insieme su mostre personali o testi (tra questi, Chiara Camoni, Leonor Serrano Rivas, Miriam Austin, Anastasia Sosunova, Irati Inoriza, per citarne alcuni). Mi piace generare scambi e contaminazioni e dal 2019 ho iniziato una serie di sperimentazioni con un format espositivo basato su collaborazioni a due, tra artisti le cui pratiche utilizzano mezzi o linguaggi molto diversi.

Caterina Avataneo

Caterina Avataneo

IL LEGAME TRA CURATORE E ARTISTA

Mi interessa capire come un curatore indipendente possa lavorare con gli artisti in modo organico, aggiungendo un elemento o un pensiero uno dopo l’altro e creando di conseguenza una certa intimità; riconoscendo l’urgente necessità di abbandonare l’illusione di individualità e trovando altri modi per forgiare alleanze (tra gli artisti partecipanti a questi esperimenti: Anna Barham, Diego Delas, Rolf Nowotny, Rory Pilgrim, Giuliana Rosso, per citarne alcuni). In questo senso lavorare come assistente curatrice per Sun & Sea, presentato per il Padiglione Lituania alla 58. Biennale di Venezia, è stato davvero fondamentale e vicino alle metodologie di curatela che più mi interessano.
L’arte e la curatela possono contribuire a plasmare il pensiero, e il pensiero a sua volta plasma il modo in cui viviamo. Spero quindi di essere in grado, con il mio lavoro, di saper produrre un sapere indisciplinato, contraddittorio e caotico, che metta in discussione la realtà e la sua percezione, fino a reinventare il modo di far emergere i temi più urgenti.
Infine curare significa anche essere attenti a ciò che in inglese viene definito come agency, ovvero chi o cosa ha un potere d’azione che confluisca nella mostra (e non solo). Ciò significa sapersi aprire a voci diverse, queer, umane e non (come agenti fisici, naturali, animali e tecnologici, tempo, spazio, architettura, oggetti e così via). “Prendersi cura” diventa quindi la capacità di ascoltare, recepire e ricevere, per poi comunicare e condividere.

‒ a cura di Dario Moalli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #63
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Dario Moalli

Dario Moalli

Dario Moalli (Vigevano 1991) studia Storia e critica dell’arte all’università di Milano, nel 2013 si è laureato in Scienze dei Beni culturali, e da qualche anno vive stabilmente a Milano, dove vaga in libertà. Condivide l’interesse per l’arte con quello…

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