Intervista ad Anish Kapoor sulla sua grande mostra a Venezia nel 2022

Mancano pochi mesi alla mostra-evento che consolida il dialogo tra le Gallerie dell’Accademia di Venezia e i protagonisti della scena artistica contemporanea. Stavolta tocca ad Anish Kapoor tenere le redini di un discorso che si estende anche a una seconda sede espositiva, la stessa nella quale prenderà forma l’avamposto lagunare della sua Fondazione

Anticipata nei mesi scorsi come uno degli appuntamenti da non mancare durante i giorni inaugurali della prossima Biennale d’Arte – slittata al 2022 per effetto della pandemia –, la mostra di Anish Kapoor in programma alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dal 20 aprile al 9 ottobre potrà contare su una seconda sede espositiva. Ne hanno dato notizia il direttore Giulio Manieri Elia, il curatore Taco Dibbits – a capo del Rijksmuseum di Amsterdam – e lo stesso Anish Kapoor (Mumbai, 1954).

Palazzo Manfrin, Venezia. Crediti Luca Zanon

Palazzo Manfrin, Venezia. Crediti Luca Zanon

LA STORIA DI PALAZZO MANFRIN

La retrospettiva innescherà un dialogo a distanza tra gli ambienti delle Gallerie dell’Accademia e quelli di Palazzo Manfrin, nel sestiere di Cannaregio, attualmente in restauro. Voluto dall’artista come dimora della sua Fondazione, l’edificio è legato alle vicende delle Gallerie da un filo sottile, che intreccia la storia di due collezioni artistiche sopravvissute al tempo. Acquistato nel 1788 dal conte Girolamo Manfrin, commerciante di tabacco con la passione per la pittura, il linguaggio scultoreo, i libri e le stampe, il palazzo si trasformò ben presto nel custode di una raccolta sapientemente orchestrata da un collezionista che seppe circondarsi di esperti e studiosi – uno fra tutti Pietro Edwards, presidente dell’Accademia di pittura a partire dal 1786. Le acquisizioni spaziavano dal Cinquecento veneto – con Tiziano e Giorgione a dettare il ritmo – fino al tardo Settecento, attirando via via l’interesse di quanti desideravano visitare la Galleria Manfrin, aperta due giorni alla settimana. Le alterne fortune della famiglia spinsero gli eredi a mettere in vendita la quadreria attorno alla metà dell’Ottocento e, per volere del governo austriaco, ventuno dipinti – tra cui La Tempesta e La Vecchia di Giorgione ‒ varcarono le soglie delle Gallerie dell’Accademia, impreziosendone tuttora il patrimonio.

Anish Kapoor, Void Pavilion V, 2018. Wood, concrete and pigment, 6x6x12 m. Photograph by Nobutada Omote © Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2021

Anish Kapoor, Void Pavilion V, 2018. Wood, concrete and pigment, 6x6x12 m. Photograph by Nobutada Omote © Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2021

ANISH KAPOOR A VENEZIA

La mostra di Kapoor si innesta quindi nel solco di un passato che non smette di influenzare il presente, rendendo ancora più chiaro l’intento dell’artista di misurarsi con una eredità – storica, visiva, materiale – da reinterpretare alla luce dell’oggi. Le opere-manifesto di Anish Kapoor affiancheranno lavori inediti, alcuni dei quali ottenuti ricorrendo alla nanotecnologia del carbonio, all’interno di un itinerario che ripercorre la carriera dell’artista noto per le sue sperimentazioni percettive all’insegna del “black material”, il nero assoluto, inventato da Ben Jensen e di cui Kapoor detiene l’esclusiva. Proprio le conseguenze del nero e la misura del vuoto sono stati il fulcro della nostra conversazione con lui, sullo sfondo di una città che Kapoor ha associato all’oscurità e a un senso della luce in grado di definire, in pittura e non solo, i limiti del buio.

Giulio Manieri Elia, Anish Kapoor e Taco Dibbits alle Gallerie dell'Accademia, Venezia 2021. Crediti Luca Zanon

Giulio Manieri Elia, Anish Kapoor e Taco Dibbits alle Gallerie dell’Accademia, Venezia 2021. Crediti Luca Zanon

INTERVISTA AD ANISH KAPOOR

Come interagiranno le sue opere con gli spazi e la storia delle Gallerie dell’Accademia?
La mostra sarà in due parti, qui e a Palazzo Manfrin, e in entrambe le sedi saranno esposti lavori del passato, ma ben bilanciati da opere recenti e nuove, dipinti, interventi realizzati con il materiale più nero del mondo. Inevitabilmente, progettare una mostra alle Gallerie dell’Accademia innesca un dialogo con i suoi capolavori e anche con la città di Venezia, con le sue acque materne, con la sua malinconia, con la sua luce. È un’impresa complicata, a cui si aggiunge il fatto che gli ambienti al pianoterra delle Gallerie non sono semplici.

Che cosa vedremo?
Ci saranno opere a due dimensioni, lavori molto aggressivi e altri diametralmente opposti. Sono interessato alla relazione tra bellezza e violenza: tutti noi possediamo la capacità di riconoscere la bellezza, ma sembra che continuiamo a non vederla, a perderla. E la violenza è sempre presente, in ogni individuo ma anche a livello sociale, soprattutto oggi. Quindi come si relaziona l’arte a questi due aspetti, solo in apparenza opposti? In realtà la violenza è generatrice, non è solo negativa. Basta pensare a Picasso, a Pollock. Questa dialettica tra profonda aggressività e valore estetico è molto potente e io ho cercato di metterla al centro delle mie riflessioni.

Con quali risultati?
Fin dal Medioevo, ma anche in precedenza, la pittura era usata per far apparire gli oggetti, per dar loro forma. Il black material con cui io lavoro fa l’opposto, prende un oggetto e lo fa scomparire. L’oggetto non è più un oggetto, non c’è più. È una sorta di estensione del progetto di Malevič ed è l’opposto della pittura: se la pittura fa apparire gli oggetti, il black material li fa scomparire. Inoltre la pittura è perlopiù connessa a un supporto, a una struttura, che è simbolo dell’essere e dell’esserci. Se il black material viene applicato a una struttura, a un supporto, questi non sono più visibili. Dal mio punto di vista, quindi, se la struttura ha a che fare con l’essere, il black material va oltre l’essere.

Venezia è la città adatta a questo tipo di riflessioni. Qui non è raro assistere all’effetto Fata Morgana…
Esattamente, è la città ideale.

VENEZIA E IL FUTURO POST PANDEMIA

E perché Palazzo Manfrin è il luogo ideale per la sua Fondazione?
Con la collaborazione della città, Mario Codognato [direttore della Anish Kapoor Foundation, N.d.A.] e io vorremmo riportare in vita il legame tra questo palazzo e l’arte, così vivo nel passato.

Sarà anche una spinta propulsiva per l’intera area, che è in una posizione strategica – non è distante dalla stazione ferroviaria e dal centro della città – ma non così vicina ad altri poli culturali.
Sì, non è un’area caratterizzata da una grande attività culturale, ma mi piace l’idea che si trovi giusto a un passo di distanza da luoghi che invece lo sono.

Restando nel futuro, credo che la pandemia abbia stabilito inesorabilmente un prima e un dopo. Come artista, in quale modo affronterà il “dopo”?
La pandemia ci ha costretti a fare i conti con l’impreparazione, fisica, politica e psicologica. Non sono sicuro che siamo già in un post, non sappiamo cosa accadrà, ma la pandemia ci sta mettendo di fronte ad alcuni tragici aspetti. Ad esempio il fatto che solo una piccola parte della popolazione mondiale ha avuto accesso ai vaccini. E tutti gli altri? A emergere in maniera urgente sono temi come l’uguaglianza, la sostenibilità globale. Si è fatta strada l’idea di una separazione tra “noi” e “loro”. L’Africa ad esempio è diventata un continente da cui stare lontani, è spaventoso. Non c’è leadership politica: vivo in Inghilterra e la situazione è disastrosa, la Brexit ne è un esempio. Dobbiamo andare oltre la nostra impreparazione e la nostra riluttanza. Non ci sono alternative.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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