Laboratorio illustratori. Sara Paglia

La nostra rubrica dedicata ai giovani talenti dell’illustrazione cede la parola a Sara Paglia. Fra dripping, ecoline e colore.

Predilige inchiostri, penne ed ecoline applicate al tratteggio, Sara Paglia, la nuova protagonista della rubrica di illustrazione con un debole per la ritrattistica, soprattutto per quanto concerne musica e cinema. Ma che non trascura ambientazioni naturalistiche e il mondo animale. Il suo è un immaginario onirico che si esprime tra dripping e macchie di colore, spesso casuali, con un’attenzione particolare alla linea e al dettaglio. Per saperne di più su questa eccellente autrice andate a cercare le altre illustrazioni realizzate ad hoc per noi.

Chi è Sara Paglia?
Sono illustratrice, sono nata e vivo a Roma dal 1984.

Qual è la tua formazione?
Ho frequentato il Liceo Scientifico e poi l’Istituto Europeo di Design a Roma, illustrazione. Gli anni allo IED saranno per sempre indimenticabili, è là che mi è cambiato tutto. Tra il 2004 e il 2007 in quelle precise mura la realtà ha cambiato aspetto ai miei occhi, forse per questo si chiama “arte visiva”. Le forme della natura si sono colmate di dettagli, gli oggetti si sono colorati di sfumature, le facce della gente si sono riempite di espressioni. E solo quando mi sono accorta di così tante minuzie ho imparato a disegnare.

I modelli di riferimento?
Posso fare dei nomi di mostri e maestri per me, fonti di ispirazioni e insegnamenti, come Paula Bonet, Sergio Toppi, Gabriel Moreno.

Quando hai capito che ti saresti dedicata all’illustrazione?
Tardi, purtroppo. Ma magari non purtroppo, magari va bene così. Non lo so. Ho sempre voluto dedicarmi all’illustrazione a tempo pieno ma non pensavo fosse possibile. In questa era, in questo mondo. Ho lavorato per dieci anni come grafica in un’azienda, sono stata bene. Ma poi una mattina mi sono svegliata e ho detto: “Ok, è ora”. È successo un paio di anni fa.

© Sara Paglia per Artribune Magazine

© Sara Paglia per Artribune Magazine

Verso quale ambito dell’illustrazione sei orientata?
Sono sempre stata affascinata dai ritratti. Quelli che fanno gli artisti di strada a Piazza Navona o a Montmartre. Certo è che il ritratto, quello a carboncino su carta da spolvero, è un po’ datato, quindi ho voluto riportarlo ai tempi nostri, nelle nostre case moderne piene di design. Ho voluto ritrarre i volti delle persone con il tratteggio, con le linee senza usare il chiaroscuro. Solo linee. E colorarle con delle macchie, in modo minimal, moderno, quasi grafico. E così ho fatto.

Da cosa dipende l’inclinazione alla ritrattistica?
È un debole. Per carità, amo disegnare tutto, anche i paesaggi. O gli animali. Ma quello che mi dà un volto non è paragonabile a niente. Gli occhi, le rughe, le smorfie fanno la differenza.

Dripping e macchie di colore si alternano a una linea precisa e dettagliata. A quale scopo?
Il fascino del dripping è dettato dal caso. Si chiama anche action painting proprio perché è l’azione che fa la pittura ed è impossibile controllarla in modo preciso. Non c’è attenzione e la casualità è padrona. Forte è la contrapposizione con le mie linee metodiche che, come un mantra, raccontano invece il lato più pulito di me. Quello più diligente e preciso. La sfida è stata farli andare d’accordo.

Quale tecnica ti è più congeniale?
Il tratteggio senza dubbio. Soprattutto quando è indelebile, nel senso che non uso la matita ma subito la penna, o l’inchiostro.

Descrivi il processo creativo di una tua illustrazione.
Se è una commissione di un ritratto, chiedo di mandarmi la foto. Deve essere di buona qualità.
Inizio con le forme del viso e poi riempio con le linee. Infine coloro con le ecoline, facendo macchie e schizzi. Se invece è un’illustrazione concettuale, cerco ispirazioni sul web, o da alcune foto. O dalla musica, o da alcuni libri e storie. Qui faccio spesso più prove, ho tutta una serie di fogli volanti da buttare ma che hanno poi portato all’illustrazione finale.

Quale opera letteraria ti piacerebbe illustrare?
Tra i classici pensavo a 1984 di Orwell, che è tra le mie opere preferite, ma è molto complessa, dovrei pensarci bene! Tra i contemporanei ho letto da poco Non dirmi che hai paura di Catozzella, una storia incredibile sull’immigrazione che mi ha ispirata per un’illustrazione che ho già fatto.

A cosa lavori in questo momento e quali sono i progetti per il futuro?
In questo momento su commissioni di privati. Progetti per il futuro ne ho tanti e bellissimi ma si dovrebbero allineare i pianeti affinché qualche sogno si realizzi. È un lavoro tanto bello quanto difficile. Quello che so è che darò tutto ciò che mi è permesso e concesso dare per continuare a farlo.

Roberta Vanali

www.sarapaglia.it

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51

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Roberta Vanali

Roberta Vanali

Roberta Vanali è critica e curatrice d’arte contemporanea. Ha studiato Lettere Moderne con indirizzo Artistico all’Università di Cagliari. Per undici anni è stata Redattrice Capo per la rivista Exibart e dalla sua fondazione collabora con Artribune, per la quale cura…

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