Grand Tour en Italie. Intervista a Francesco Maluta e Michele Tiberio

Palazzo Pratellesi, San Gimignano – fino al 25 agosto 2019. A San Gimignano vanno in mostra gli esiti della residenza di Francesco Maluta e Michele Tiberio, nell’ambito del progetto itinerante “Grand Tour en Italie”. Li abbiamo intervistati.

Grand Tour en Italie | Wandering Art | Residency Programme è un progetto nato nel 2018 in occasione di Manifesta 12 a Palermo su idea di Michela Eremita e Susanna Ravelli. Si tratta di una residenza accompagnata da un’esposizione finale, con l’obiettivo di registrare, attraverso lo sguardo degli artisti, alcune delle tematiche inerenti il territorio ospitante. Si muove seguendo la scia delle rotte del Grand Tour, il viaggio che nel passato aveva come destinazione l’Italia.
Dopo la tappa palermitana, il progetto ha trovato “casa” a San Gimignano, grazie al contributo della Fondazione MPS e alla collaborazione con Associazione Culture Attive. La curatrice Michela Eremita ha selezionato due giovani artisti italiani, Francesco Maluta (Lovere, 1983) e Michele Tiberio (Palermo, 1987), scelti, come lei stessa afferma, “per la specificità del lavoro, rivolta alle ibridazioni e in linea con la scia già improntata dagli artisti nella tappa precedente”.
Il risultato della loro residenza è confluito nella mostra Grand Tour en Italie | San Gimignano, allestita presso la biblioteca storica di Palazzo Pratellesi insieme alle opere di Maura Banfo, Elena El Asmar, Michele Guido, Sophie Ko, Francesco Lauretta, Valeria Manzi, Concetta Modica, Pierluigi Pusole, realizzate in parte a Palermo, in parte appositamente per San Gimignano. “L’esposizione è pensata per il luogo”, spiega Michela Eremita, “trattandosi di una biblioteca, questa doveva contenere le memorie di un viaggio: il bagaglio artistico del Grand Tour, da ritrovarsi tra i libri negli scaffali”.
Sia Maluta che Tiberio hanno individuato nella natura uno spunto di riflessione, arrivando a una sintesi nell’equilibrio delle differenze: organico e inorganico, sinuoso e aguzzo, statico e in movimento. Ne abbiamo parlato con entrambi.

Michele Tiberio, Studio per serie fotografica Za'faran, impressione di un ricordo, 2019, stampa fotografica, 2 foto 35x50 cm, photo credits Carlo Vigni

Michele Tiberio, Studio per serie fotografica Za’faran, impressione di un ricordo, 2019, stampa fotografica, 2 foto 35×50 cm, photo credits Carlo Vigni

L’INTERVISTA

Michele Tiberio, la tua è una ricerca sul tema del viaggio, nello spazio e nel tempo, e sulla contaminazione. Dopo il progetto presso la Fondazione Merz di Torino, in cui hai indagato il peregrinare nella sua incertezza e imprevedibilità, il viaggio come scorrere del tempo su di noi (nell’installazione Indivisibile sei dall’ombra, a meno che di notte, a meno che sott’acqua), a San Gimignano hai riflettuto sul perpetuo e millenario peregrinare dello zafferano. Colore, odore, fragilità: quali di queste caratteristiche della preziosa spezia hanno motivato la tua scelta?
La scelta di riflettere e indagare sullo zafferano è nata, innanzitutto, da una fascinazione materiale e poi dalla sua componente culturale (storica, economica e sociale). Come materia, la sua fragilità (lo zafferano si ottiene dai tre stigmi di un fiore di croco) va a contrastare con il colore acceso, con un sapore e un odore molto forti. Già questo contrasto risulta, per la mia pratica, estremamente interessante; inoltre, tali caratteristiche hanno segnato la storia della spezia e dei luoghi in cui veniva usata, coltivata e commerciata. Nel 1200 lo zafferano ha fatto la fortuna di San Gimignano: veniva scambiato quasi come fosse una moneta e i commercianti sangimignanesi portavano questa spezia incredibilmente preziosa fino in Kurdistan, attraversando tutto il Medio Oriente. Lo zafferano era l’unica spezia che viaggiava dall’Italia verso il Medio Oriente: un viaggio in senso contrario che mi ha incuriosito, di cui vorrei cercare le tracce lasciate nel corso del tempo e nello spazio.

Francesco Maluta, il tuo è invece un viaggio fatto per immagini, per appunti visivi che si traducono in oggetto. San Gimignano, meta iconica, viene oggi sintetizzata in una miriade di souvenir-feticcio che hanno però, come aspetto positivo, quello di fissare nella memoria un luogo, o una parte di esso. Nell’era della smaterializzazione e virtualità del viaggio, tu scegli dunque di recuperare l’oggetto-cartolina. Quale era la tua idea iniziale e quali incontri durante la residenza hanno fatto sì che questa si modificasse?
L’idea iniziale era di realizzare una sorta di taccuino di viaggio di ciò che avrei trovato lungo il tragitto durante la residenza del Grand Tour en Italie a San Gimignano, una specie di memorandum. Successivamente, grazie ad alcuni scambi con Michela Eremita, la mia attenzione si è diretta verso la regina dei souvenir: la cartolina. Facendo ricerche sulla sua storia e sui suoi sviluppi, mi sono reso conto di quanto questa fosse metafora di un’opera d’arte. Innanzitutto c’è un’immagine, ed è quella che generalmente attrae l’occhio di chi la riceve; subito dietro c’è un messaggio, che è il motivo per cui viene spedita; c’è un mittente, cosciente della lentezza dell’elaborazione e della spedizione del suo messaggio e, infine, c’è lo stupore del destinatario quando riceve la stessa. Lentezza e stupore che, a mio avviso, sono caratteri fondamentali per la realizzazione di un’idea e di un’opera, oggi tendono a essere soppiantati da tempestività e distacco: ottimi per un business plan, ma non per un’opera. Una volta entrato a Palazzo Pratellesi, trasformato in studio d’artista per dieci giorni, mi sono imbattuto in alcune piastrelle, probabilmente abbandonate dopo un lavoro di ristrutturazione, e ho pensato che fossero il supporto perfetto.

Nella tua residenza a San Gimignano, Michele, hai potuto portare avanti la ricerca sui materiali organici e inorganici: oltre allo zafferano, il cristallo, del quale hai indagato la consistenza, il grado di opacità e di assorbimento dei pigmenti. Sei riuscito a trovare una sintesi in questa dicotomia? Se sì, in quale misura?
Il cristallo e lo zafferano sono materiali opposti in molti sensi: il cristallo è stabile e immutabile, lo zafferano lascia tracce sensibili a ogni passaggio. In tale opposizione, questi mi sono sembrati perfetti per convivere. Ho immaginato il cristallo come contenitore perfetto per portare la spezia, mantenendo inalterate le sue caratteristiche e la sua memoria.
Detto questo, non sono ancora riuscito a trovare una sintesi che mi soddisfi: il cristallo è un materiale molto bello e questa bellezza condiziona il modo di lavorarlo e di lavorarci. Non mi interessa la perfezione nel materiale ma piuttosto il suo scarto, il lato più ruvido. Si tratta insomma di una ricerca che ancora non è conclusa.

Francesco Maluta, Chimere, 2019, ceramica, parte del progetto Festina lente per il Grand Tour en Italie San Gimignano, photo credits Michela Eremita

Francesco Maluta, Chimere, 2019, ceramica, parte del progetto Festina lente per il Grand Tour en Italie San Gimignano, photo credits Michela Eremita

Il camaleontismo, l’adattamento di forme di vita in ambienti diversi (alle volte ostili) e l’ibridazione sono tra i temi della tua ricerca, Francesco (mi riferisco anche alla recente mostra senese Tiepida simbiosi). Ritroviamo questo anche negli spazi di Palazzo Pratellesi, dove hai scelto di focalizzarti su un bestiario tra il fantastico e il reale. Da dove è partita l’idea e come si è concretizzata?
Anche se nella mia ricerca flora e fauna sembrano essere i punti focali, in realtà lo sono parallelamente a un interesse antropologico. Tematiche come l’adattamento, il camaleontismo o l’ibridazione sono facilmente accostabili sia al mondo animale che a quello umano: quest’ultimo però, tendenzialmente, prova a distinguersi nettamente dal primo. Il mio lavoro vuole assottigliare questa distinzione così da mettere in discussione la superiorità umana. Nella mostra che citi, Tiepida simbiosi, mi sono voluto avvicinare alla capacità delle piante di mutare le loro caratteristiche genetiche e morfologiche per potersi adattare ai cambiamenti geologici e ambientali. Ho scoperto che, a causa dei cambiamenti climatici, piante cresciute in continenti diversi e molto lontani tra loro, come l’America e l’Africa, tendono negli ultimi decenni ad assomigliarsi. Questo mi è parso un ottimo spunto su cui riflettere per meglio comprendere e decifrare i grandi esodi migratori che stanno caratterizzando la nostra epoca. Per Palazzo Pratellesi ho deciso di lavorare con animali che potessero ritrarre la memoria dei sangimignanesi sia da un punto di vista faunistico sia da un punto di vista storico, come quelli contenuti nell’araldica. Soprattutto per le vecchie generazioni, che fondavano la loro sussistenza su ciò che la terra offriva e sull’allevamento, animali come il tasso, la volpe, il lupo o l’istrice rappresentavano amici o nemici per la loro sopravvivenza. Oggi San Gimignano, come molte altre città medievali, continua a vivere grazie soprattutto ai turisti che ogni giorno percorrono le sue strade: ma sono amici del tessuto cittadino oppure no?

Una domanda per entrambi: qual è stato il senso di partecipare a un progetto di residenza come quello di Grand Tour en Italie, che non è ancora concluso, e cosa vi porterete dietro?
Michele Tiberio: Il senso sta proprio nel fatto che non sia un progetto concluso, non lo può essere in un tempo così breve, ed è meglio che non lo sia. Mi è servito per iniziare una nuova ricerca: è stato il primo piccolo passo di un progetto molto più ampio. Ma è stato anche il momento per lavorare intensamente fianco a fianco con Francesco Maluta, Michela Eremita e Susanna Ravelli, presidente dell’associazione Grand Tour en Italie.
Francesco Maluta: Partecipare a residenze artistiche è sempre molto stimolante perché costringe l’artista e il suo linguaggio a mettersi a confronto diretto con il lavoro di altri artisti, altre problematiche e altre metodologie di ricerca. La peculiarità del Grand Tour en Italie è quella di essere una residenza itinerante che si nutre dei luoghi di cui è ospite e delle differenze tra gli artisti invitati nelle varie edizioni. Personalmente, credo che il fatto di aver avuto come predecessori, a Palermo, artisti di cui stimo la ricerca, mi abbia portato a mantenere alta la concentrazione e, spero, anche la qualità del lavoro. Il souvenir che porto a casa da questa esperienza è la grande professionalità di chi ha reso possibile questa edizione e renderà possibile le prossime e l’aver approfondito la conoscenza con il mio compagno di viaggio, Michele Tiberio.

Martina Marolda

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Martina Marolda

Martina Marolda

Martina Marolda è storica dell'arte e responsabile artistico dell'Associazione Culture Attive, ente non profit di San Gimignano. È stata assistente redazionale alla mostra "Musica per gli Occhi / Music for the eyes" (Siena, 2018). Ha collaborato con l’Università degli Studi…

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