Osservatorio curatori. Laura Lecce

Parola a Laura Lecce, protagonista del nuovo appuntamento con la rubrica dedicata al panorama curatoriale nostrano.

Quando ho avuto le prime esperienze nell’arte contemporanea, il termine ‘curatore’ non era così utilizzato come ora. All’estero era sicuramente un mestiere più diffuso, ma tra i miei coetanei non avevo mai sentito qualcuno dire che volesse fare il curatore d’arte contemporanea. Anche io non ho avuto le idee così chiare da subito, piuttosto mi incuriosiva l’idea di partecipare a operazioni culturali a forte impatto.
Sono arrivata all’arte studiando filosofia, dopo aver scoperto l’estetica, in cui poi mi sono laureata. Sebbene la filosofia mi aprisse scenari meravigliosi, spesso durante gli anni alla Statale di Milano mi sembrava che stare in biblioteca fosse anche tempo sprecato. Milano era decisamente attraente e viva, e così ho iniziato ad avere diverse esperienze sul campo. La più rilevante è stata quella alla GAMeC di Bergamo, dove fui inserita come tirocinante nel reparto dei servizi educativi, supervisionata da Giovanna Brambilla. Il primo progetto era nella casa circondariale della città e consisteva nel racconto, attraverso parole, immagini e documenti, della collezione permanente del museo ai detenuti della struttura, compresi coloro che si trovavano in regime di 41 bis. Rimasi estasiata e profondamente colpita dall’effetto incredibile che era capace di avere l’arte contemporanea sulle persone, persino in quella condizione singolare e difficile.
Un’altra esperienza decisiva per il mio percorso è stata al fianco di Marina Abramović in occasione della sua mostra personale e performance al PAC di Milano, The Abramović Method nel 2012. Ero nello staff (quasi imbucata) ad aiutare i fotografi che dovevano documentare tutto il processo della mostra dall’inizio alla fine, ed eravamo a contatto diretto con Marina ogni giorno, per ore. Ho capito quale potenza e unicità avesse l’energia che gli artisti portano con sé e quanto complessa fosse la macchina di lavoro che esiste dietro la realizzazione di una grande mostra.

Regine Petersen, Civilization II, 2013. Courtesy the artist & Pelagica

Regine Petersen, Civilization II, 2013. Courtesy the artist & Pelagica

PROGETTI RECENTI

Sono arrivata nel 2014 a fondare il mio primo progetto curatoriale, Pelagica, dopo esperienze di editoria, marketing, ufficio stampa, logistica, avendo ormai compreso che la curatela significava sostenere il lavoro di un artista in cui credi fermamente e fare tutto il possibile affinché le sue opere si realizzino nel miglior modo possibile.
Pelagica nasce con la consapevolezza che l’arte contemporanea è capace di affrontare temi decisivi del nostro tempo senza moralismi, con autonomia e leggerezza, creando un linguaggio totalmente imprevedibile. Oggi è una galleria non profit con una programmazione annuale e una rete di collaborazioni internazionali, a sostegno di artisti emergenti e mid-career italiani e dei Paesi del Mediterraneo.
Nel 2018, dopo quattro anni di gestione di Pelagica, su invito di Carolyn Christov-Bakargiev e al fianco della curatrice Caterina Molteni, ho riunito i nuovi spazi dell’arte contemporanea italiana in un’assemblea, al Castello di Rivoli, intitolata Supercondominio. Abbiamo discusso per due giorni di giovani gallerie, spazi di progetto, artist run spaces e residenze d’artista, cercando di delineare un nuovo panorama italiano dell’arte contemporanea. Panorama che, al momento, mi pare incredibilmente vivo!

Dario Moalli

www.pelagica.org

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48

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Dario Moalli

Dario Moalli

Dario Moalli (Vigevano 1991) studia Storia e critica dell’arte all’università di Milano, nel 2013 si è laureato in Scienze dei Beni culturali, e da qualche anno vive stabilmente a Milano, dove vaga in libertà. Condivide l’interesse per l’arte con quello…

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