Gabriele D’Annunzio fra estetica e politica. Intervista a Giordano Bruno Guerri

A ottant’anni di distanza dalla morte del “Vate”, abbiamo intervistato il direttore della Fondazione del Vittoriale. Cercando di fare luce sull’eredità dannunziana.

Ottant’anni fa moriva al Vittoriale Gabriele D’Annunzio, il Vate d’Italia celebre per i suoi romanzi eroici, le sue relazioni sentimentali e l’impeto guerriero che lo vide protagonista al fronte del ‘15-‘18. Abbiamo intervistato il direttore della Fondazione del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, per capire quanto resta oggi dell’eredità del letterato e del “personaggio” D’Annunzio.

A cento anni dalla Grande Guerra, non si può non considerare quanto Gabriele D’Annunzio abbia sostenuto la causa interventista, e come vi abbia dato coerente seguito arruolandosi volontario e contribuendo, con le sue imprese, alla vittoria. Eppure, questo difensore dell’identità e dell’unità italiane, molto spesso oggi passa per fascista. In realtà, non è proprio così, e comunque l’interventismo non è un fattore che storicamente consenta l’accostamento. Secondo lei, a cosa è dovuta questa confusione storica, e perché persiste questa visione distorta?
L’accostamento non è certamente dovuto all’interventismo e alla partecipazione alla guerra: furono interventisti e combattenti anche molti che poi sarebbero diventati antifascisti. Un primo equivoco nacque per l’impresa di Fiume, per la quale D’Annunzio viene considerato una specie di Giovanni Battista del fascismo. In realtà il regime prese da lui riti e miti – l’eja eja alalà, il me ne frego, il dialogo con la folla dal balcone ecc. – e soprattutto Mussolini avrebbe appreso da lui che la classe dirigente liberale poteva venire sfidata con la forza e vinta. Ma Fiume, in realtà, fu più un’anticipazione del ’68, liberando tutti dalle convenzioni borghesi, portando “la fantasia al potere” e soprattutto con la Carta del Carnaro, la carta costituzionale più avanzata dei tempi, che mai il fascismo avrebbe potuto adottare.
L’accostamento divenne effettivo con le numerose visite di Mussolini al Vittoriale, e con il regime che sfruttava l’immagine di D’Annunzio come padre nobile. In realtà il Vate, se non era un democratico (un superuomo non può esserlo), non amava quel regime – che pure lo onorava – e parlava di “camicie sordide”, non di camicie nere. Rispettava Mussolini come demiurgo che aveva conquistato il potere, ma la sua stessa, dichiarata, ostilità a Hitler è una prova del suo distacco. L’interpretazione errata è dovuta alla diffusione, mai o poco contestata, di una vulgata che stiamo cambiando, giorno dopo giorno, con il nostro lavoro.

Gabriele D’Annunzio ai tempi della Capponcina. Archivio Fondazione Vittoriale degli Italiani

Gabriele D’Annunzio ai tempi della Capponcina. Archivio Fondazione Vittoriale degli Italiani

D’Annunzio è oggi famoso per le sue conquista galanti e le sue fantasie sessuali (anche se alcune completamente infondate), mentre la sua opera è sempre meno letta a livello generale, e sempre meno studiata nelle scuole. Come spiega questa lacuna?
Le opere invecchiano, come per tutti gli scrittori, e la lingua di D’Annunzio è sempre più difficilmente praticabile per la sua opulenza. La sua biografia invece – poeta-romanziere-seduttore-divo-vate-comandante-asceta – contiene in sé tali elementi di fascino eterno che D’Annunzio rimarrà una figura ancora nota al grande pubblico pure se non se ne dovesse conservare neppure un’opera. Insomma, il suo capolavoro di maggiore successo è la sua vita.

D’Annunzio è stato l’autore che più di ogni altro ha plasmato un’epoca, imponendole, in un certo senso, il suo modo di essere. Anche se, ovviamente, in pochissimi sono riusciti ad avvicinarsi davvero a lui, crede che oggi ci sia un intellettuale, in Italia, capace di esprimere altrettanto fascino morale?
Ovviamente no. L’unico che si è avvicinato è stato Pasolini.

Raffinato esteta, coerente nazionalista, seguace di Nietzsche; dall’interno del suo “personaggio” D’Annunzio sognava un’Italia fiera e forte, non necessariamente attraverso la guerra, ma soprattutto attraverso il pensiero. Guardando l’oggi, si potrebbe forse dire che ha mirato troppo in alto?
L’Italia doveva raggiungere il primato attraverso la Bellezza, valore che unisce pensiero e azione, arte e vita. Non è un mirare troppo in alto. Noi abbiamo nel nostro DNA, grazie alla nostra storia, proprio la bellezza. È un obiettivo che però è stato sostituito dal benessere ‒collettivo e individuale ‒ come bene primario.

D’Annunzio è stato uno scrittore e pensatore di respiro europeo: non ha sentito, probabilmente, l’esigenza di un’Europa politicamente unita, a differenza di Malaparte. Con il quale i rapporti non furono mai particolarmente buoni (anche se sempre a distanza). Eppure, si tratta di due personalità che avrebbero potuto stringere amicizia; forse si somigliavano troppo?
Decisamente sì. In D’Annunzio Malaparte uccideva il padre, che non voleva riconoscere perché troppo simile a se stesso, troppo ingombrante.

Una veduta panoramica del Vittoriale. Archivio Fondazione Vittoriale degli Italiani

Una veduta panoramica del Vittoriale. Archivio Fondazione Vittoriale degli Italiani

Volendo provare a dare un giudizio storico sul pensiero di questi due eminenti scrittori e pensatori italiani, secondo lei, chi ha avuto ragione? In altre parole, è maggiore l’eredità dannunziana o quella malapartiana?
Non mi sembrano due personaggi in contrasto. Ognuno nel proprio tempo, furono entrambi “letterati non dello stampo antico, in papalina e pantofole”. Malaparte è l’evoluzione, o l’involuzione, di D’Annunzio: dipende da come li si vede.

Il Vittoriale è un luogo che ancora oggi esercita molto fascino sui visitatori. Parla più del D’Annunzio-uomo o del D’Annunzio-personaggio? Secondo lei, lo scrittore stesso quale parte avrebbe voluto lasciare di sé?
Il Vittoriale è D’Annunzio fatto pietra, arte, natura: era questo che voleva e quel che ha ottenuto: “Tutto qui è un’impronta del mio stile, e del senso che voglio dare al mio stile”, scrisse nell’atto di donazione agli italiani. Di sé avrebbe voluto lasciare le opere, e il Vittoriale è l’ultima, probabilmente la più amata.

Il 2018 segna il centenario della Vittoria, cui anche D’Annunzio ha contribuito. Sono previste iniziative particolari, per il prossimo novembre, così come per il centenario dell’Impresa di Fiume, che cadrà l’anno prossimo?
Recentemente abbiamo cambiato l’allestimento del MAS, in occasione di una mostra di Quirino Gnutti, pittore esordiente che consiglio di vedere. Il MAS adesso è quasi completamente al buio, con un’illuminazione studiata ad hoc, bellissima: è giusto così, il MAS era un predatore notturno. Il prossimo 9 agosto celebreremo con un evento molto speciale il centenario del Volo su Vienna. Ma più che della guerra, impresa collettiva, ci occuperemo molto del centenario di Fiume, nel 2019-20. Ci saranno molte iniziative, fra cui un mio libro che – spero – metterà l’intera vicenda sotto una luce nuova.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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