Democratizzare la cultura. Parola a Mariacristina Gribaudi della Fondazione Musei Civici Venezia

A poco più di un anno dal conferimento dell’incarico di presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia, l’imprenditrice Mariacristina Gribaudi racconta il suo approccio a un ruolo vissuto come una sfida stimolante. Un’opportunità per delineare non solo una linea di condotta verso un’istituzione polimorfa, ma anche gli strumenti culturali da mettere in campo nei riguardi di una città delicata e complessa come Venezia.

Ha ricevuto le redini presidenziali della Fondazione Musei Civici di Venezia agli sgoccioli del 2015, sostituendo l’uscente Walter Hartsarich. Mariacristina Gribaudi, classe 1959, di origini piemontesi, vanta una lunga esperienza nel campo dell’imprenditoria e dal 2002 è amministratrice unica, con incarico a rotazione, della Keyline S.p.A., azienda con sede a Conegliano. Determinata e concreta, ha risposto alle nostre domande nella cornice di Ca’ Pesaro, uno degli undici musei che compongono la Fondazione, poco prima dell’incontro dedicato al libro Ad Alta Quota. Storia di una donna libera di Lella Golfo, ideatrice e presidente della Fondazione Marisa Bellisario. Un evento che si inserisce nel calendario di Venezia Città delle Donne, fiore all’occhiello della nuova presidenza.

Partiamo dall’inizio. Quali intenti e quali aspettative l’hanno portata ad accettare il ruolo di presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia?
Io sono una persona estremamente curiosa. Ho accettato quasi tutte le sfide che mi hanno proposto e sono una che si sfida. Sono abituata a essere misurata, a misurare le altre persone e a misurarmi. Questa non rientrava certamente nelle sfide che potevo immaginare perché è lontana dal mio mondo, io sono una donna di fabbrica, sono amministratrice unica di un’azienda metalmeccanica. Pur essendo appassionata d’arte e da sempre abituata all’estetica, questo incarico è qualcosa di diverso.

Quale contributo le è stato richiesto?
Mi è stato chiesto di portare il modello di business che ho interiorizzato in tanti anni di esperienza all’interno di una fondazione, consapevoli del fatto che sia una fondazione sia una fabbrica sono fatti di persone, uomini e donne. Mi è stato chiesto di intervenire sul modello di business per provare a dare una marcia, una velocità e uno spirito diversi. Queste erano indicazioni precise che il sindaco Luigi Brugnaro, entrato in carica a giugno 2015, stava dando alla città. La Fondazione Musei Civici, per il patrimonio di cui dispone, doveva rappresentare una chiave di volta importante.

Ca' Rezzonico - Museo del Settecento veneziano, facciata sul Canal Grande, courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano, facciata sul Canal Grande, courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

Perché hanno scelto lei?
Scegliere una donna, al di fuori del contesto museale, poteva fare la differenza. Viaggio molto per lavoro e quindi sono abituata a vedere realtà diverse – dai musei esteri, già dotati da tempo di strutture e servizi adatti alle famiglie e al pubblico più giovane, ai modelli di coworking esistenti fuori dall’Italia. Memore di queste esperienze, ho intrapreso il mio incarico.

Quali sedi si sono prestate meglio di altre a questi interventi di rinnovamento?
Certamente Ca’ Pesaro, dove è già attivo il wi-fi e sta prendendo forma uno spazio di coworking. Nessun museo della Fondazione era dotato di wi-fi fino a gennaio 2016. La medesima operazione è stata fatta a Ca’ Rezzonico e nel suo giardino. È importante far comprendere ai veneziani, e non solo, che questi musei devono tornare a essere musei di tutti, non soltanto di un turismo che fagocita la città. Inoltre i musei devono interfacciarsi con la terraferma, con i quarantaquattro Comuni della Città Metropolitana, e anche con un contesto più ampio, che da Belluno arriva a Vicenza.

Tra le attività che lei ha promosso c’è Venezia Città delle Donne. Ci racconta qualcosa in più?
Venezia Città delle Donne nasce a partire da alcuni esempi locali, come quello di Felicita Bevilacqua La Masa, donna visionaria che donò Ca’ Pesaro ai veneziani ma soprattutto agli artisti rifiutati dalle grandi mostre e indigenti. E la merlettaia centenaria Emma Vidal, che considera il Museo del Merletto la propria casa. Venezia Città delle Donne vuole dare visibilità a tutte quelle donne che non l’hanno ricevuta in passato e che la meritano.

Il tema della donna è attuale e delicato. Lei pensa che la cultura possa essere un buon veicolo per mantenere alta l’attenzione sull’argomento?
La cultura è l’unica vera rivoluzione che noi possiamo mettere in atto per cambiare il mondo. Attorno al tema della donna, nell’ambito della Fondazione, gravitano l’accordo che abbiamo già stipulato con Unicef per i Baby Pit Stop e ora per le spose bambine dell’Afghanistan, che saranno al centro di un imminente convegno. Le donne, per spirito di sopravvivenza, hanno la capacità di cambiare il mondo. Venezia Città delle Donne, però, non significa iniziative al femminile. A breve ospiteremo un evento di geopolitica con Limes a Ca’ Pesaro. Sono convinta che grazie alla democratizzazione della cultura sia possibile aumentare il coinvolgimento del pubblico.

Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio, Venezia, courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio, Venezia, courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

In questo senso, com’è il bilancio legato alla partecipazione attiva della cittadinanza, a poco più di un anno dal suo incarico?
Il bilancio è estremamente positivo. I musei sono in crescita e questo è anche frutto del lavoro che è stato fatto in precedenza. Ho la fortuna di lavorare con uno staff di grandi professionisti, composto, fra l’altro, quasi al 90% di donne. Tutto ciò rappresenta una base di partenza importante. Il lavoro di squadra fatto fino al mio arrivo e il senso di continuità hanno coadiuvato l’inserimento di nuove proposte, che hanno contribuito a intensificare il dialogo tra i musei. Nel giro di pochi mesi ci siamo trovati a gestire undici pagine Facebook, tante quante i musei della Fondazione, con la necessità di raccontare undici storie sempre diverse. Ogni museo ha infatti un’identità ben precisa e definita.

In questo ambito il suo approccio imprenditoriale è stato molto utile, consentendole di applicare un modus operandi di fabbrica a un organismo multiforme come la Fondazione.
La sensazione è che sia una struttura molto compatta, ma in realtà noi siamo scesi nella specificità. Anche facendo emergere le persone che lavorano ogni giorno all’interno del museo e dando un feedback all’esterno attraverso la comunicazione. Questo per me è pane quotidiano. Io ho un headquarter aziendale che si trova a Conegliano con delle filiali sparse in tutto il mondo. È evidente che ogni interlocutore richiede un approccio diverso. La logica è la stessa: dare identità e dignità a ogni museo.

Quali saranno i prossimi passi?
Per evitare di fare troppe cose, c’è una fase di cambiamento iniziale, che è traumatica per tutti, e poi c’è una fase di consolidamento. Io devo portare il wi-fi in tutti i musei, affrontando le difficoltà del caso. Poi stiamo lavorando sugli orari di apertura dei musei. Non possiamo pensare di chiudere le sedi durante le festività: insieme all’amministrazione dobbiamo studiare i flussi turistici. Stiamo inoltre dando impulso al dialogo con i musei del territorio. Tutti devono sapere che la Fondazione è disposta a collaborare anche mettendo a disposizione le opere conservate nei propri depositi. Il primo aprile inaugureremo una mostra a Vittorio Veneto insieme al Museo del Vetro, offrendo anche a una piccola realtà l’occasione di collaborare con la Fondazione. Abbiamo visto gli ottimi esiti della scelta di portare la Giuditta di Klimt al Centro Culturale Candiani di Mestre. La mostra è stata visitata da 15mila persone. L’obiettivo è rendere sempre più facile l’accesso alla cultura perché questo aiuta a crescere.

Ca' Pesaro, Venezia, courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

Ca’ Pesaro, Venezia, courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia

Focalizzando il discorso sul centro storico di Venezia, con le sue complessità, quali strumenti culturali crede vadano messi in campo per esaltarne il potenziale?
Io credo che dovremmo coinvolgere sempre di più i cittadini. Siamo pronti alle critiche e molto propositivi, ma abbiamo bisogno che i cittadini siano al nostro fianco. Ecco perché organizziamo eventi come quello di oggi. Quando abbiamo proposto la piattaforma di Venezia Città delle Donne, le prime a rispondere sono state le donne italiane della Silicon Valley. Se gli strumenti che io ho a disposizione raggiungono la Silicon Valley, perché non riesco a raggiungere una cittadina di Venezia? E in questo caso il problema non è la cittadina veneziana, ma sono io che non riesco a coinvolgerla.

Crede che la risposta a questo interrogativo risieda nel contesto peculiare della città di Venezia, ben diversa da realtà come Milano o Torino?
Venezia ha una doppia faccia. C’è un aspetto molto ancorato alla tradizione, ma, dall’altra parte, il suo è un popolo da sempre straordinario, che ha conquistato il mondo e che ha ricevuto contaminazioni costanti. Dobbiamo lavorare di sponda su questi due aspetti. Più di ogni altra cosa, però, a questo mondo bisogna essere credibili: ciò che dici lo devi fare. Per me è un mantra.

Allora ci rivediamo tra un anno per un nuovo bilancio delle attività portate a termine.
La prendo in parola.

Arianna Testino

www.visitmuve.it

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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