Dall’Italia a Varsavia, con Pasquale De Sensi

Classe 1983, Pasquale De Sensi è un saccheggiatore di immagini, un artista che elabora i suoi collage secondo il principio di uno spaesamento surrealista e di una decontestualizzazione dall’immaginario collettivo, sovrapponendo nuovi significati in una sintesi minimalista. Attualmente le sue opere sono in mostra all’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Artribune lo ha incontrato.

Chi è Pasquale De Sensi? In quale direzione va la tua ricerca?
La mia ricerca segue direzioni diverse, si muove con me e accompagna i miei cambiamenti. La sua evoluzione corrisponde alla mia, con tutte le pause e le accelerazioni. Non ho nessun piano di produzione e non mi precludo niente a priori. Molte cose le scopro in maniera inaspettata. Anzi, spesso le scoperte che nascono dall’errore, in maniera imprevista, sono quelle migliori. Fondamentalmente lavoro attraverso l’osservazione e l’immaginazione, prima che con qualsiasi tecnica.

I tuoi collage sembrano far eco a un “incontro fortuito sopra un tavolo d’anatomia fra una macchina da cucire e un ombrello”, per citare la frase di Isidore Ducasse che influenzò in particolare Max Ernst. Ti ritrovi in questo accostamento?
Sì, in parte mi ci ritrovo. È una delle radici. La frase del Conte di Lautréamont è ormai classica. I surrealisti l’hanno resa quasi ideologica, ma descrive un procedimento poetico molto più ampio, che ha trovato applicazioni diverse durante tutto il Novecento. È una frase che esemplifica bene il primissimo passo del metodo associativo, dell’automatismo psichico, ma su un piano volutamente freddo e distaccato.
Per me esiste sempre un certo grado di affetto e di responsabilità che si sviluppa verso i simboli. Ed è da questa appropriazione che parte la possibilità di interpretare e comunicare attraverso immagini. La teoria e il metodo non bastano, bisogna saperli nutrire di forme. Penso alla scrittura di William Burroughs, Dylan Thomas, Sylvia Plath, Antonin Artaud…

Pasquale De Sensi, Violini nell'incendio, 2014

Pasquale De Sensi, Violini nell’incendio, 2014

La scelta dei titoli non fornisce la chiave di lettura delle opere: forse qualcosa deve rimanere latente per lo spettatore o è un ulteriore accostamento straniante?
Gioco molto con i titoli, non voglio che siano didascalici o integrativi. Il titolo didascalico diventa un limite per l’immagine ed è inutile, degradante per la parola. La parola dovrebbe seguire le sue regole e diventare una seconda immagine che accompagna e condiziona il quadro. Il titolo e l’immagine hanno più o meno lo stesso legame che esiste fra il nome di una persona e la sua personalità.

In alcune tue opere c’è una sorta di parallelismo visivo con uno spartito di Cage. C’è in esse qualcosa di volutamente aleatorio?
Mi è già capitato altre volte questo parallelo fra i miei lavori e le ricerche di John Cage ed è una cosa che mi lascia sempre un po’ stupito… Non saprei, credo che le sue teorie sulla musica aleatoria abbiano molte cose in comune con il mio modo di lavorare: l’indeterminazione iniziale, il caso che interviene come forza generativa eliminando il collegamento fra il compositore e la composizione, la mancanza di preordinazione e l’esecuzione corsiva…
Ma io ho bisogno comunque di delineare alla fine un soggetto preciso, una figura. Ho bisogno di personaggi, paesaggi e relazioni. Un impianto concettuale troppo definito finisce per inibire tutto questo e renderlo secondario. Quello che mi piace nelle composizioni di Cage è soprattutto l’interesse verso suoni effimeri, minimi. Ma a me piace anche molto la superficialità pop o l’emotività del punk. A John Cage credo di preferire John Cale.

Nella tua produzione artistica c’è anche una componente di origine cinematografica?
Sicuramente sì. Gli stimoli e i riferimenti sono vari e misti; quasi tutti i miei interessi possono fornire spunti e immagini. Guardo un sacco di film e amo soprattutto il genere horror, che seguo da sempre, i film con Audrey Hepburn, i primi film in technicolor come Il Mago di Oz, Leave her to heaven, The red shoes… Quindi è inevitabile che alcune figure del cinema finiscano nei miei lavori.

Pasquale De Sensi, Blind Love, 2015

Pasquale De Sensi, Blind Love, 2015

Come collochi da un punto di vista prettamente artistico – e non di mercato – la tua arte sul panorama italiano e non? Ci sono differenze o mancanze?
Non esiste l’eventualità di parlare del panorama artistico italiano dal punto di vista del mercato. Forse soltanto in maniera satirica oppure tentando di delineare un piano di emergenza.
Per il resto mi piace molto lavorare in maniera collaborativa, stabilendo relazioni con altri artisti anche a partire da analogie e simpatie sottili, non evidenti. Non sento l’esigenza di trovare una collocazione. Siamo molto distanti dalle epoche in cui si creavano gruppi e fazioni e correnti estetiche. Quando questo succede, i risultati sono piuttosto scarsi. Oggi gli artisti sono individui che portano avanti la propria visione, con tutti i mezzi a disposizione e spesso in maniera indipendente. E a me sembra ottimo così. L’arte è legata alla vita, prima che alla storia. Anche i social network e la Rete sono mezzi potentissimi per diffondere la propria visione e stabilire legami. E questo si può fare da qualsiasi periferia. I centri mondani e le “capitali dell’arte” non sono più così indispensabili per chi fa ricerca.

Attualmente sei in mostra negli spazi dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Cosa rappresenta concettualmente Male Limbo e che legame ha con lo spazio espositivo che la ospita?
Male Limbo è un titolo proposto dal curatore Alex Urso, che è anche un bravissimo artista. In polacco significa “Piccolo Limbo” e si riferisce alla sensazione che ha provato davanti ai miei collage: di trovarsi in un momento di sospensione fuori dal mondo, come leggendo un libro scritto in codice. Si tratta di una mostra concepita come una piccola collezione di pezzi su carta, scelti a partire da una selezione iniziale molto più ampia.
L’idea di ospitarla nell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia è dipesa dal fatto che Alex sta portando avanti da diverso tempo un lavoro di commistione fra la scena polacca e quella italiana. Io personalmente ho scoperto le ricerche di autori molto bravi grazie a questa apertura: Maciej Ratajski e Agnieszka Grodzinska.

Rossella Della Vecchia

Varsavia // fino al 31 agosto 2015
Pasquale De Sensi – Male Limbo
a cura di Alex Urso
ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA
Ul. Marszalkowska 72 
+48 (0)22 6280610
www.iicvarsavia.esteri.it

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Rossella Della Vecchia

Rossella Della Vecchia

Rossella Della Vecchia, classe 1986, è specializzata con lode in Storia dell'Arte Contemporanea (cattedra di Carla Subrizi, La Sapienza) con la tesi “Trouble Every Day: Tous Cannibales, la voracità da tabù ad arte, dall’arte alla società”. Da sempre interessata all’arte…

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