Polka Dot Madness

Un ritorno trionfale, con una grande retrospettiva in tour al top: il Reina Sofia a Madrid, il Centre Pompidou a Parigi, la Tate Modern a Londra e poi ancora al Whitney di New York. Il vecchio Occidente sta riscoprendo la vecchia Yayoi Kusama (Matsumoto, 1929) e pure il Giappone si rende conto della fama universale conquistata dalla sua folle artista. Folle, ma sì, in vari sensi: figurati, letterali, affettuosi, estetici, ironici.

I più anziani fra noi la ricordano addirittura agli albori dei Sixties, quando lasciò il natio Sol Levante per approdare prima a New York e poi in Europa, punteggiando con i suoi colorati “polka dots” soprattutto corpi nudi, maschili e femminili, anche provocatoriamente omosessuali, interpreti di happening iconoclasti. La mania di ricoprire tutto di pallini regolari l’aveva invasa già da bambina, portandola a sublimare le proprie disturbanze, tra visioni allucinatorie e impulsi suicidi, mediante una letterale obliterazione della realtà che la circondava.
“I principali temi della mia arte sono le ossessioni, l’ossessione del fallo, l’ossessione della paura”, ha sempre sostenuto. E difatti, per tentare di dominare le pulsioni centrifughe della sua mente, aveva trovato la via per moltiplicare maniacalmente in “infinity nets” i suoi pattern preferiti: i pois, appunto, ma anche le oblunghe forme falloidi, di cui si circondava a mille, di materiali e dimensioni e consistenze diverse, nell’evidente illusione di poterne controllare la temibile penetrante “diversità” da sé. Art therapy, nulla di nuovo. Ma a quanto pare funzionò sì e no. Dopo mostre e performance anche a Roma, e dopo aver creato negli Usa un suo marchio di moda, Kusama Dress, e aperto una propria boutique commerciale, non riuscendo più a gestire il fardello della sua “anormalità” tornò in Giappone e si fece accogliere in una struttura psichiatrica, continuando però a produrre materiali artistici, sebbene con ritmi meno sostenuti.

Yayoi Kusama Polka Dots Madness 13 Polka Dot Madness

Yayoi Kusama, Polka Dots Madness

Il suo grande rientro nel Sol Calante si ebbe nel 1993, quando realizzò per la Biennale di Venezia una famosa sala degli specchi, atta a moltiplicare ancora le sue moltiplicazioni. Questa (insieme al visual concept di un famoso videoclip di Peter Gabriel, Love Town, in cui i suoi pois e peni tentacolari invadevano una cucina e un mondo intero) la ricordano anche gli art-addicted meno anziani. Ma oggi Kusama torna tra i nasi lunghi in pompa magna e in palmo di mano, perfino sponsorizzata da Louis Vuitton. Si entra così, un po’ circospetti e un po’ divertiti, nelle sue installazioni ambientali, grandi spazi tappezzati da pallini giganteschi e abitati da imponenti presenze falliformi, ovviamente a pois anch’esse. Invidia o fobia del pene? Ardua sentenza.

Ferruccio Giromini

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7


 

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Ferruccio Giromini

Ferruccio Giromini

Ferruccio Giromini (Genova 1954) è giornalista dal 1978. Critico e storico dell'immagine, ha esercitato attività di fotografo, illustratore, sceneggiatore, regista televisivo. Ha esposto sue opere in varie mostre e nel 1980 per la Biennale di Venezia. Consulente editoriale, ha diretto…

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