La multa a Coopculture e un sistema museale che non funziona

Un caso che fa discutere sullo stato delle politiche culturali e della relazione tra pubblico e privato in Italia. Proposte e soluzioni

Il nostro sistema museale è inutilmente complicato. Nel tempo, sono state apportate sicuramente delle migliorie, ma lo scenario nazionale meriterebbe una riflessione più ampia in grado di rendere più omogeneo un comparto che potrebbe generare economie molto più ampie di quanto faccia. Il caso di Coopculture è interessante. Non tanto per la vicenda specifica, su cui saranno i giudici ad esprimersi, ma sulle condizioni che hanno abilitato tale vicenda. Nella sua forma più brutalmente semplificata, la vicenda si può esprimere in questo modo: si accusa Coopculture di non avere messo in atto tutti i potenziali rimedi per contrastare l’acquisto massivo di biglietti del Colosseo. I biglietti venivano quindi acquistati ed esauriti in pochissimo tempo (1 secondo) da Grandi Clienti, che poi li rimettevano in vendita associati ad altri servizi reali o minori.

La multa a Coopculture

Nella pratica quindi, le persone non riuscivano ad acquistare in tempo il solo biglietto per il Colosseo, e si trovavano quindi in qualche modo costretti a dover pagare in più per ricevere un servizio che non avrebbero probabilmente scelto. Come si evince dal provvedimento, la questione è molto tecnica, e si basa principalmente su soluzioni informatiche e contrattuali. Tali elementi, tuttavia, sono il risultato di un processo che, nella sua forma più generale, riguarda proprio il modo con cui vengono gestiti i nostri Musei.
Di base, la gestione dei servizi aggiuntivi nei Musei è molto semplice: c’è un soggetto, tendenzialmente pubblico, che affida ad un altro soggetto la gestione di una serie di servizi che vengono offerti ai visitatori. In pratica, il soggetto pubblico contiene a detenere ruoli e poteri su tutti gli aspetti che riguardano la conservazione, la tutela e le politiche di valorizzazione del luogo della cultura, mentre al soggetto privato è chiesto di gestire, più o meno in toto, il rapporto con i visitatori. Rapporto che va dall’accoglienza, alle informazioni, alla gestione del servizio di biglietteria, all’erogazione di servizi di assistenza alla visita come le audioguide, le videoguide, le smart-guides, le app, le visite guidate, e la produzione e la vendita di prodotti integrativi, come la gestione dei punti ristoro, o la gestione del bookshop e la produzione editoriale.

In genere, per i musei a più elevato afflusso di visitatori questo tipo di rapporto viene regolato attraverso la disciplina della concessione: il privato agisce dunque con proprio personale, assumendosi il rischio d’impresa, a fronte di una serie di ricavi ben definiti all’interno dei documenti contrattuali.

In alternativa, questo rapporto può essere talvolta gestito attraverso la formula dell’appalto, attraverso il quale il soggetto pubblico affida a terzi una serie di servizi a fronte di un pagamento da parte della pubblica amministrazione.

La gestione dei servizi aggiuntivi

Quest’ultimo caso ha il difetto di generare dei rapporti poco stimolanti: il privato agisce nel rispetto del contratto ma non è concretamente stimolato allo sviluppo del luogo della cultura, né alla creazione di servizi ulteriori che ne consentano un maggiore beneficio economico. Nel caso della concessione, invece, il privato ha tutto l’interesse a sviluppare soluzioni di questo tipo, perché sostiene dei costi talvolta importanti in termini di risorse umane, cui vengono garantiti all’interno dei contratti con la PA delle dimensioni contrattuali sempre più puntuali, e quindi ha interesse diretto a che il sito venga realmente visitato, e che i visitatori possano realmente acquistare quanti più servizi e prodotti disponibili. Ci sono poi ulteriori casi, come il tanto ventilato partenariato pubblico privato, che però prevede che il privato, oltre a sostenere il rischio imprenditoriale legato alla gestione delle risorse umane e dei servizi ai visitatori, sostenga anche spese strutturali talvolta ingenti. Nel caso delle concessioni o dei PPP, il privato sostiene quindi degli investimenti e delle spese iniziali (l’assunzione delle risorse umane), a fronte di ricavi che necessariamente si manifestano nel tempo. Per questa ragione i contratti di concessione prevedono in genere una durata pluriennale. Nel caso del Colosseo, che rappresenta però un caso piuttosto singolare su questo versante, Coopculture ha gestito il sito dal 1997 al 2024. Senza guardare a questo caso specifico, però, diciamo che la durata è generalmente fissata in cinque anni.

La relazione tra pubblico e privato

Ricapitolando: un privato si assume il rischio di gestire un sito culturale, sulla base di un contratto di durata pluriennale, gestendo una serie di servizi tra i quali rientrano anche servizi di ticketing online. Una questione spinosa, perché il ticketing online è soggetto quindi a tutte le innovazioni che sono proprie del mondo fin-tech. Cinque anni fa i bot facevano le loro prime comparse; l’intelligenza artificiale era ancora una materia da ingegneri informatici. Certo, nei contratti sono presenti delle clausole che richiedono al concessionario di adottare tutte le azioni di manutenzione evolutiva dei propri software: se c’è una nuova minaccia informatica, al concessionario è chiesto di sviluppare una versione del proprio software che possa concretamente scongiurarla.

Ma un sistema di ticketing, che oltre ad occuparsi del Colosseo si occupa anche di moltissimi altri siti minori, difficilmente potrà contrastare, in tutto e per tutto, le evoluzioni che sono necessarie. Non si tratta infatti soltanto di un aggiornamento software, ma anche di erogare formazione a tutti coloro che usano tali strumenti, o la creazione di “uffici” deputati, che tuttavia apporterebbero maggiori costi al concessionario, andando a rendere il proprio investimento meno redditizio, perché basato sempre sulle dimensioni economiche intercorse anni prima.
L’esempio del ticketing è chiaramente il più semplice, ma il mondo in 5 anni cambia anche in termini di “esigenze”: oggi, ad esempio, è lecito attendersi da alcuni luoghi della cultura la presenza di intelligenze artificiali che guidino la visita e che rispondano a tutte le domande dei visitatori. Così come è lecito attendersi una sempre maggiore diffusione di servizi di realtà aumentata nelle aree archeologiche, o di esperienze immersive.
Si tratta di servizi che, con ogni probabilità, rientreranno tra le richieste dell’amministrazione nel corso delle future gare, ma che sino ad allora difficilmente potranno essere realmente implementate.

Il Colosseo e il caso Coopculture

Se ci allontaniamo poi dal Colosseo, e ci avviciniamo a quella miriade di musei che contano pochi visitatori all’anno, è chiaro che queste condizioni risultano essere molto distanti dalla realtà: un soggetto privato difficilmente potrà fornire un servizio di realtà immersiva sostenendone gli investimenti iniziali a fronte di un flusso di 1.000 visitatori annui.
Qualunque ne sia la prospettiva, quindi, il rapporto tra pubblico e privato nella gestione dei Musei si configura sempre attraverso una forma contrattuale che, ad oggi, presenta delle rigidità che mal si adeguano alle esigenze di un mondo in continua trasformazione, e ancor meno si adeguano ai flussi di ricavi generati dalla maggior parte delle nostre istituzioni culturali.
Soprattutto se poi il privato, nel corso della propria concessione, può agire esclusivamente sulle dimensioni di “servizio”, e non può quindi stimolare maggiori flussi di visitatori attraverso proposte culturali, come mostre o affini che sono invece appannaggio esclusivo dell’amministrazione (Direzione del Museo e articolazione degli uffici).

Qualunque ne sia la forma contrattuale, insomma, privato e pubblico sono posti sempre in una condizione di tendenziale conflitto di interessi: se il privato è pagato per erogare specifici servizi, sarà poco stimolato ad avviare azioni innovative; se il privato agisce secondo una logica di rischio imprenditoriale, sarà probabilmente interessato a massimizzare i propri ricavi.
Quando parliamo della multa a Coopculture, possiamo tranquillamente concentrarci sui BOT, sui vari player internazionali o su qualsiasi altra strategia informatica messa in atto per realizzare quella che al di là delle sottigliezze è comunque una versione molto sofisticata ed edulcorata di bagarinaggio. Se guardiamo soltanto a questi elementi, ci concentriamo esclusivamente sui sintomi, non sulle cause. Se vogliamo migliorare il nostro sistema museale, dobbiamo quindi sviluppare delle strategie che siano in grado di fare in modo che interesse pubblico ed interesse privato vadano contrattualmente nella medesima direzione. Le soluzioni potenziali sono tantissime: viviamo in un mondo in cui ci sono più strumenti che intenti, e quindi basterebbe soltanto acquisire una visione politica chiara su questo aspetto.

Proposte e soluzioni

Si può pensare a soluzioni semplicissime, come dei contratti di appalto che prevedano però delle premialità, a dimensioni molto più strutturate, come la creazione, per alcuni dei siti più importanti, di specifici soggetti giuridici nella cui governance coesistano il soggetto pubblico e i soggetti privati, con periodi di tempo determinati, chiamati alla conduzione integrata del sito culturale. Ulteriori attività potrebbe essere la previsione di forme contrattuali aggiornate su basi informative generate automaticamente dai software gestionali, cui associare, in una logica di contrattazione, anche dimensioni di innovazione non solo in termini di ticketing, ma anche in termini di servizi da fornire ai visitatori. Nei fatti, l’unica cosa che è realmente inutile, ai sensi più generali del nostro sistema museale, è fermarsi a leggere la notizia e immaginare che riguardi soltanto una condotta che si indica come poco corretta da parte di Coopculture. Se tale condotta ci sarà, saranno i giudici a stabilirlo. Ma corretta o meno che risulterà, il problema è un altro. Ed è un problema su cui qualcuno dovrà metterci un po’ di testa e di coraggio.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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