Credito con merito. Per una nuova cultura finanziaria delle imprese culturali
Nel mondo della cultura, quello del finanziamento è un argomento spinoso. Serve da un lato maggiore consapevolezza sui meccanismi di accesso al credito, dall’altro una serie di strumenti finanziari specifici per le imprese culturali
La cultura cresce anche grazie all’effetto leva che possono rappresentare i finanziamenti e i bandi. Si pensi a quelli del Ministero, del PNRR o a quelli europei. Un effetto “leva nella leva” può concretizzarsi grazie ad una adeguata pianificazione finanziaria che punti all’utilizzo di un misurato e sostenibile accesso al credito. Bancario e non solo.
Cultura e pianificazione finanziaria
Non sono poche le banche che hanno sviluppato negli anni una divisione Terzo settore. In pochi sanno, per esempio, che il Credito Sportivo, che è una banca pubblica, ha una divisione destinata alla cultura, o che vi sono piattaforme create da istituti bancari che promuovono raccolte fondi per sostenere la parte di interessi da corrispondere, piuttosto che la restituzione di un prestito o di un finanziamento.
Il problema semmai è un altro: la cultura è riuscita a stare al passo delle innovazioni sul piano finanziario in un’ottica di programmazione e di investimento per lo sviluppo? Sicuramente i virtuosismi si attivano quando i fondi esterni, in primis pubblici, riescono ad arrivare con regolarità. Questo, però, non esclude che un’impresa e un’istituzione culturale possano e debbano dotarsi, nella cassetta degli attrezzi, di strumenti di pianificazione che divengono mezzi per attingere ad un addendum di risorse, anche queste esterne (provenienti dal mondo della finanza). Risorse che possono rivelarsi vitali nel consentire, per esempio, il rispetto dei tempi: dagli stati di avanzamento dei lavori (pensate a quanto hanno potuto o possono ancora inficiare, nell’incremento dei costi, ritardi nei pagamenti nei cantieri di lavoro di restauro, manutenzione, ristrutturazione), alle rendicontazioni di progetto.
Non accedere al credito significa anche non fare investimenti, e quindi minare lo sviluppo delle imprese culturali
La questione del merito creditizio
Approcciare il mondo della finanza in maniera adeguata significa verificare preventivamente il proprio merito creditizio. In altre parole: un istituto di credito, per decidere se siamo finanziabili, non valuterà (sol)tanto la qualità delle nostre attività culturali o quanto sia benemerita la nostra missione. Certo, servirà anche una relazione che illustri tutto ciò, ma poi si affiderà ad un algoritmo che con una serie di parametri deciderà se concederci o meno un prestito o un finanziamento, e questo indipendentemente dalle garanzie prestate.
Sono ormai lontani i tempi in cui un’ipoteca, garanzia reale per eccellenza, aveva l’effetto automatico di attivare una linea di credito. Ci troviamo in un contesto tale per cui una banca verifica preventivamente se l’ente è meritevole e affidabile in termini economico-finanziari e quindi di restituzione del debito e, conseguentemente, determina il tasso di interesse da applicare sul debito concesso.
Entra così in gioco la classe di rating di appartenenza ed è consuetudine (perché manca una cultura della pianificazione finanziaria) che l’istituzione culturale scopra il suo rating in sede di richiesta del finanziamento, quando, a volte, potrebbe essere tardi per aggiustare il tiro.
Gli esami non finiscono mai. Il merito creditizio viene in genere calcolato sulla base della solvibilità, puntualità e regolarità del pagamento dei debiti (non a caso vi è una lista del CRIF – un’azienda specializzata in sistemi di informazioni creditizie – dei “cattivi pagatori”). Altri parametri sono il livello di indebitamento e la stabilità dei flussi di entrata. A questo proposito il mondo della cultura parte sicuramente facilitato avendo come vantaggi competitivi, rispetto ad altri settori, un ridottissimo accesso al credito (come modus operandi) e una rendicontazione prevalentemente finanziaria (e non economica).
La cultura dev’essere finanziata con strumenti ad hoc
Non si può però pensare di giocare la partita basandosi sul vantaggio della arretratezza: non accedere al credito significa anche non fare investimenti, e quindi minare lo sviluppo delle imprese culturali. Una rendicontazione solo finanziaria fornisce i dati sui flussi di cassa ma non tutte le informazioni utili e necessarie per fare programmazione e controllo (per cui necessitano anche rendicontazioni economiche e patrimoniali).
Due paroline anche per il mondo bancario: non è pensabile approcciare un’impresa o un’istituzione culturale come un’azienda for profit qualsiasi. È necessario un decoder per tradurre il valore di asset spesso intangibili e immateriali con cui il sistema Italia sta continuando a competere su scala mondiale, anche grazie alla miriade di enti che nello Stivale promuovono arte, musica, teatro, cinema e cultura nelle sue varie forme e linguaggi. Orientamento e formazione su come funziona il mondo della cultura, con i suoi glossari e le sue regole non scritte. Strumenti finanziari su misura, un po’ come i sustainability loan che premiano le imprese che raggiungono performance di sostenibilità facendo scendere il costo del tasso di interesse. Le soluzioni si possono trovare, e anche inventare. Come nella grande fabbrica delle parole di Agnès de Lestrade, non è la quantità che conta ma la qualità. E la semplicità. Anche gli algoritmi lo capiranno.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #74
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