Il ruolo della cultura nella ricostruzione post bellica

Con uno sforzo di immaginazione, guardiamo al futuro e alla fine del conflitto in Ucraina. Come dovrà muoversi il mondo della cultura per dare un contributo concreto e cosa può fare sin d’ora?

Durante un conflitto sono poche le cose che la cultura può realmente fare:

– mettere in salvo la maggior parte del patrimonio culturale materiale disponibile;
– affiancarsi alle altre organizzazioni internazionali nel condannare qualsivoglia forma di violenza e, in misura ancor più importante, la violenza usata a danno dei civili;
– definire una strategia operativa di azione da implementare al termine del conflitto, per ripristinare quanto danneggiato, riportare nelle proprie sedi quanto era stato spostato per motivi di sicurezza.

CULTURA E CONFLITTO BELLICO

Oltre a tali elementi, è però prioritario che la cultura, già durante le fasi del conflitto, si impegni altresì nella definizione di una strategia più ampia, legata alla ricostruzione della cultura territoriale e alla creazione di opportunità di crescita in un luogo che, oltre ad aver bisogno di oggetti essenziali e non essenziali, avrà più che mai bisogno di cultura, per restituire ai cittadini un graduale senso di normalità, per restituire, poco alla volta, la fiducia, per lenire la rabbia, per dare alle atrocità vissute un inquadramento storico, per far sì che un popolo possa metabolizzare quanto accaduto e imparare, suo malgrado, a conviverci.
Nel caso delle vicende ucraine, queste dimensioni saranno ancora più evidenti, perché inevitabilmente entrerà in gioco un altro aspetto, che si potrebbe definire impropriamente di natura geopolitica: quella in corso in Ucraina è una vicenda che ha assunto fin da subito una dimensione culturale fortissima. Risulta dunque sufficientemente prevedibile che l’Unione Europea, al termine del conflitto, vari importanti investimenti a favore dell’Ucraina, sia in forma diretta che in forma indiretta. Ed è altrettanto prevedibile che tra tali investimenti vengano incluse anche linee di finanziamento dedicate alla cultura. Sancita l’importanza di tali investimenti, è però necessario iniziare a valutare le modalità attraverso le quali tali finanziamenti verranno erogati e, soprattutto, cosa e chi saranno destinati a finanziare.

“L’influenza mitteleuropea che negli ultimi anni ha caratterizzato i lavori della Commissione dovrà prima o poi evolversi in un approccio più pragmatico, più semplice e più orientato al risultato che al processo”

Sempre più, negli ultimi anni, i finanziamenti europei nel comparto culturale hanno finito con il riguardare principalmente grandi soggetti culturali, come gli enti istituzionali o le università, e partnership tra grandi e piccole imprese, con la presenza di soggetti che, per esperienza pregressa o per fatturato, possano garantire lo sviluppo del progetto secondo le burocratiche modalità di Bruxelles. È evidente che tali modalità non potranno essere adottate anche nel post-conflitto. In primo luogo perché sarà necessario intervenire con rapidità, coinvolgendo il maggior numero possibile di soggetti, e preferendo un finanziamento operativo piuttosto che un’attività di ricerca. In secondo luogo perché la scommessa culturale non potrà essere semplicemente teorica, anche e soprattutto tenendo in considerazione quella dimensione impropriamente qui definita geopolitica. Perché è evidente che ciò che più rispecchia la cultura europea, e ciò che più la differenzia da altre culture, non è l’Accademia, ma l’Industria Culturale e Creativa, o, se vogliamo, la molteplicità di soggetti che, generando reddito sul territorio e posti di lavoro, contribuiscono al contempo alla creazione del valore culturale pubblico di un territorio.
Non è una differenza sottile: non esiste Nazione, oggi, in cui non sia presente una produzione culturale centrale; la differenza è dunque quella produzione culturale decentralizzata, che affida una larga parte della produzione culturale contemporanea alla stessa popolazione.

Mario Botta, Centro Parrocchiale della Divina Provvidenza Ucraina, Leopoli

Mario Botta, Centro Parrocchiale della Divina Provvidenza Ucraina, Leopoli

FINANZIARE NON SOLO LE GRANDI ISTITUZIONI

Sarà dunque di certo necessario finanziare la ricostruzione dei grandi teatri, ma sarà altresì necessario finanziare la nascita di piccole imprese teatrali; finanziare musei d’arte contemporanea, ma anche la nascita di piccole gallerie, o le piccole industrie cinematografiche, le piccole agenzie di comunicazione e stampa.
Non solo perché in questo modo si avvierà una politica di ricostruzione del tessuto sociale evitando il reiterarsi di forme di assistenzialismo che hanno mostrato numerose debolezze nella nostra storia, ma anche perché in questo modo si avvierà davvero una politica culturale che sviluppi l’eterogeneità delle manifestazioni culturali, che, più di ogni altra cosa, rappresentano la nostra cultura, nel nostro tempo.
Tutto ciò, è bene che sia chiaro, sarà un’impresa difficilissima: la gestione dei finanziamenti è arrivata a livelli elevatissimi di sofisticazione burocratica, e il passaggio da quest’impostazione a un’impostazione più concreta, più smart, se vogliamo, è un iter che costerà non poca fatica a livello centrale. Anche questo, però, fa parte di quelle modifiche culturali che è necessario che l’Europa apprenda: l’influenza mitteleuropea che negli ultimi anni ha caratterizzato i lavori della Commissione dovrà prima o poi evolversi in un approccio più pragmatico, più semplice e più orientato al risultato che al processo. È necessario nelle dimensioni economiche, così come in quelle culturali. Altrimenti rischieremo di spendere i nostri soldi (perché i soldi saranno anche i nostri) per azioni inutili e fuori tempo massimo.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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