Economia e futuro. Gli scenari del post pandemia

Che cosa ci sta insegnando il difficile momento storico che stiamo vivendo? E come saranno impiegate le risorse economiche in futuro? L’analisi e le riflessioni di Marco Senaldi.

Per quanto possa apparire incredibile – e in un certo senso, lo è – a metà di questo fatale anno bisestile, raccontare che cosa è accaduto è quasi altrettanto difficile che prevedere che cosa accadrà. Dopo migliaia di articoli, dopo un profluvio di post, e dopo una valanga di interventi e interviste mediali, l’unica lezione che forse abbiamo imparato dalla pandemia di Covid-19 è che azzardare previsioni, o tentare delle sintesi, è quanto mai rischioso. Ottime premesse, dunque, per dimenticare tutto il più in fretta possibile, e ricominciare esattamente come prima, come se nulla fosse successo, come se fossimo in un 2019 qualunque.
Eppure questa volta è rimasto come un retrogusto dopo la sbornia di notizie spesso contrastanti, e te ne accorgi dagli sguardi straniti dentro i bar, dalla cautela quando ci si incontra tra amici, dai sorrisi forzati che si indovinano sotto le mascherine.
Abbiamo finalmente capito qualcosa? I conclamati valori di solidarietà, aiuto reciproco, sostegno ai più deboli, senso di appartenenza hanno messo in soffitta l’egoismo di sempre, l’invidia sociale, il disinteresse per la cosa pubblica? Difficile dirlo.
Per evitare ogni forma di retorica si potrebbe, con una mossa marxista forse démodé,  osservare dei dati puramente economici – non quelli, infinitamente rimescolati, dei decessi, dei contagiati, dei tamponi e via elencando, ma quelli relativi ai capitoli di spesa del nostro Paese prima del Covid-19.
È molto semplice, perché grazie alla trasparenza basta verificarli sul sito budget.g0v.it, 2018, ed è anche piacevole perché, come si vede, forse per una inconsapevole suggestione à la Sloterdijk, il grafico che li rappresenta è stato pensato per “bolle”. Ora, le bolle più grandi sono due: il “rimborso titoli del debito statale”, e la “tutela dei livelli essenziali di assistenza” – ossia, in parole povere, debito pubblico e sanità. O, in parole ancora più povere, finanza e sopravvivenza.

Abbiamo finalmente capito qualcosa? I conclamati valori di solidarietà, aiuto reciproco, sostegno ai più deboli, senso di appartenenza hanno messo in soffitta l’egoismo di sempre, l’invidia sociale, il disinteresse per la cosa pubblica? Difficile dirlo”.

Storicamente, non è improprio giudicare le civiltà in base agli obiettivi verso i quali esse investono le loro risorse. L’ossessione per la morte ha spinto per tre millenni gli antichi egizi a edificare incredibili dispositivi funerari, che vanno dalle piramidi alle navi rituali con le quali traghettare i defunti, e, in modo analogo, il senso di un ignoto aldilà ha portato l’Occidente medievale a innalzare centinaia di vertiginose cattedrali. Nel nostro caso, si direbbe che questi dati svelino i nostri effettivi propositi collettivi. Noi siamo la prima civiltà nella storia umana per la quale contano, più di ogni altra cosa, due astrazioni fondamentali: il dominio non di cose materiali, ma di puri strumenti finanziari, e il prolungamento non di una vita autentica, ma della nuda durata biologica. E una cosa è certa: questi valori non ci vengono imposti da un qualche potere occulto, perché sono espressione di un sentire, questo sì, del tutto condiviso, e che vede non solo lo Stato nel suo insieme, ma ciascun singolo per conto suo, impegnato nello stesso identico sforzo. Essi segnano dunque – nel bene e nel male – il nostro ultimo orizzonte metafisico, quello sul cui altare siamo pronti a sacrificare qualunque virtù, qualunque bene, qualunque speranza.

IL FUTURO DELLE ARTI

La cattiva notizia è che, con ogni probabilità, lo scenario post-pandemico non farà che ingrandire a dismisura le due bolle principali, a scapito di tutte le altre. La notizia buona è che si tratta appunto di “bolle”, di rigonfiamenti instabili su una superficie in effervescenza continua. La forma stessa del grafico propone, accanto alle ipostasi egemoni, tante altre emergenze, anche se infinitamente più piccole. E, se avete pazienza, potete anche trovare un minuscolo cerchietto intitolato “promozione dell’architettura e dell’arte contemporanea, del design e della moda”.
Provare a ingrandirlo un po’, se non come “capitolo di spesa”, almeno come elemento di riflessione sul predominio degli altri cerchi, potrebbe essere un valido antidoto all’ideologia in cui, spesso senza saperlo, siamo immersi.

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #55

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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