“La questione di Palazzo dei Diamanti non esiste”. Vittorio Sgarbi risponde a Renato Barilli

Vittorio Sgarbi risponde duramente a Renato Barilli, che qualche giorno fa, sulle nostre pagine, aveva rivolto un appello al neo ministro Franceschini in merito alla questione dell’ampliamento di Palazzo dei Diamanti, a Ferrara.

La “questione di Palazzo dei Diamanti” non esiste, né il ministro ha il potere di contrastare la direttiva di un valoroso funzionario come Gino Famiglietti, già direttore generale dei beni storici e architettonici, allineato ideologicamente con Salvatore Settis e Tomaso Montanari, esattamente all’opposto di una “destra oltracotante”. La cecità, l’astio, l’invidia e la mancanza di riconoscenza di Renato Barilli nei confronti di chi, assessore alla cultura, da lui pregato, gli fece finanziare e realizzare a Milano la mostra Nouveau réalisme, indicano lo stato di frustrazione di chi non si rassegna alla propria irrilevanza. Barilli oggi vaneggia esattamente come quando difese i vespasiani di Mario Cucinella, in prossimità di piazza Maggiore a Bologna, fatti smontare dal sindaco Cofferati. La confusione mentale e politica di Barilli arriva a vagheggiare che il ministro Franceschini, destinatario abituale di appelli contro di me, revochi “titoli spropositati” e per me “del tutto incongrui”, come la presidenza del MART (che non significa direzione), dimenticando che quella carica era stata attribuita, prima che a me, a Franco Bernabè e a Ilaria Vescovi, non si capisce quanto, più di me, rivolti alla “causa del contemporaneo”. L’arte non ha “cause”; chiede solo intelligenza e conoscenza. Questo mi rimprovera Barilli, chiedendo a Franceschini di autorizzare, contro i suoi uffici, l’illegittimo progetto di allargamento di Palazzo dei Diamanti, a suo dire, (senza nulla sapere delle procedure ministeriali) vietato dal suo predecessore Bonisoli, intimidito dallo “schiamazzo” degli oppositori.

Barilli oggi vaneggia esattamente come quando difese i vespasiani di Mario Cucinella, in prossimità di piazza Maggiore a Bologna, fatti smontare dal sindaco Cofferati”.

Nella sua cieca rabbia Barilli dimentica che quello “schiamazzo”, lungi dall’essere alimentato da una “destra oltracotante”(e impotente a bocciare alcunché), consisteva in un appello sul Corriere della Sera firmato da uomini di pensiero, storici e architetti, diversamente da lui pensanti (e in gran parte di sinistra), come (per citarne alcuni) Eugenio Riccomini, Arturo Carlo Quintavalle, Riccardo Muti, Moni Ovadia, Andrea e Vittorio Emiliani, Raniero Gnoli, Nicola Spinosa, Marc Fumaroli, Massimo D’Alema, Furio Colombo, Pier Luigi Cervellati (già assessore a Bologna per il partito comunista), David Grieco (nipote del fondatore del partito comunista), Andrea Carandini, Mario Botta, Mario Bellini, Massimo Bray, Fulvio Abate, Pierluigi Cerri, Pietro Citati, Oscar Farinetti, David Ekserdjian, Christoph
Frommel, Elio Garzillo, Giulio Giorello, Dacia Maraini, Gennaro Migliore, Dario Nardella, Nuccio Ordine, Leoluca Orlando, Gaetano Pesce, Paolo Portoghesi. Non ne vedo uno di destra, e non parlerei di “schiamazzo”, ma di cura e rispetto per un monumento rinascimentale, e quindi da Barilli incompreso. Posso però ricordargli che il solo uomo di pensiero, a lui affine, che ha sostenuto la bontà del progetto è Achille Bonito Oliva. Un grande intellettuale, diversamente da lui, riconosciuto.

Vittorio Sgarbi

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