La demolizione del Pont des Trous nella città belga di Tournai e le facili indignazioni

Del ponte gotico che collegava le sponde del fiume Scheldt rimangono solo le due torri laterali. La demolizione è avvenuta per permettere il passaggio di navi e chiatte da 2000 tonnellate: una decisione da condannare in toto? 

Sono iniziati all’alba di venerdì 2 agosto e sono proseguiti per tutto il weekend i lavori per la demolizione del Pont des Trous. Un evento che ha scatenato pareri contrastanti nei cittadini di Tournai, i quali hanno assistito allo smantellamento, a colpi di ruspa, di una struttura considerata tra i lasciti più preziosi dell’architettura medievale del Belgio, nonché una delle attrazioni turistiche maggiormente promosse a livello locale. Tra i manifestanti, Marie-Christine Marghem, Ministro dell’Energia e dell’Ambiente del Belgio, che aveva combattuto a lungo una battaglia a favore della tutela del monumento. La decisione di “decostruirlo” (un verbo tacciato di ipocrisia da molti) è stata dettata da questioni di viabilità fluviale. Gli archi del ponte, che prima permettevano il passaggio a imbarcazioni di massimo 1500 tonnellate, saranno ricostruiti nello stesso stile ma più alti, in modo da consentire l’ingresso a navi anche di 2000 tonnellate. L’intervento rientra nel progetto di costruzione di un canale lungo 105 chilometri in grado di collegare la Senna al fiume Scheldt, implementando gli scambi economici e di merci tra Francia e Belgio. 

L’INDIGNAZIONE SUL PONT DES TROUS

Il “ponte dei buchi” (tradotto letteralmente), costruito tra il 1281 e il 1304 a scopo di difesa della città, era uno dei tre collegamenti militari gotici ancora esistenti in Europa. La sua struttura era composta da tre archi centrali di forma ogivale e da due piccole fortezze laterali, le quali non sono state, però, interessate dalla demolizione. Come ha dichiarato Christophe Van Muysen, ispettore generale del Service Public de Wallonie Infrastructure, “l’obiettivo è recuperare la maggior parte delle pietre e poterle riutilizzare nel quadro della ricostruzione della struttura”.  Ora che parte del monumento è stata abbattuta, pare che una ricostruzione che “mantenga lo stesso stile” (di cui non abbiamo ancora dettagli certi) sia l’unica strada percorribile. L’amministrazione in realtà aveva precedentemente presentato il progetto di un ponte contemporaneo, immediatamente osteggiato da alcune associazioni locali che si sono formate a difesa della causa, come “Préservons l’identité du Pont des Trous”. Al momento però c’è grande scetticismo sul modo in cui sono state gestite le pietre da utilizzare nella ricostruzione: secondo le testimonianze, non c’è stata una numerazione e anzi, molte di esse sono state fatte crollare nel fiume senza possibilità di recupero. Tra le voci della polemica si è aggiunta quella del sopracitato Ministro Marghem, che giovedì notte ha dichiarato sulla sua pagina Facebook: “poiché un cittadino di Tournai vive la sua città nella gioia e nel dolore, sono ai piedi Pont des Trous fino dall’alba per vedere come le macchine istituzionali attaccano un monumento senza precedenti sotto l’occhio cupo dei potentati locali”, aggiungendo il proprio sdegno sulla mancata vicinanza verso la popolazione.

Pont des Trous, Tournai, 1892 via Wikipedia

Pont des Trous, Tournai, 1892 via Wikipedia

IL PONT DES TROUS: POLEMICHE DA RIDIMENSIONARE?

Denunciare la carenza della tutela nei confronti del patrimonio culturale in onore di logiche economiche e commerciali è una retorica molto facile che non tiene conto della complessa stratificazione della storia dell’architettura su cui si basa il patrimonio artistico. Ad esempio, gli archi centrali del Pont des Trous, quelli che oggi non esistono più, non erano di certo originali, bensì frutto anch’essi di una ricostruzione datata 1948, dopo che la struttura era saltata sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale. Nel rifacimento, l’arco centrale fu modificato e sollevato di 2,40 metri per un motivo che poi è lo stesso che oggi fa scandalizzare molti: permettere il passaggio delle nuove imbarcazioni di grossa stazza in virtù delle nuove esigenze del commercio. Un fatto che ribalta il punto di vista sul problema, aprendo una strada per iniziare a considerare un patrimonio storico che non implichi l’immobilità di uno stato, ma che anzi si adegui alle necessità che cambiano. Anche a quelle dello sviluppo economico, senza il quale difficilmente si possono sostenere attività culturali e tutela del territorio.

– Giulia Ronchi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

Scopri di più