I nuovi uffici della Soprintendenza che deturpano il sito archeologico di Pompei

Un ecomostro ha cancellato una parte di paesaggio presso il sito archeologico di Pompei, importante patrimonio UNESCO. Sono i nuovi uffici della Soprintendenza ovvero, colmo dei colmi, l'ente che dovrebbe tutelare il bene

Cosa ci fa una specie di prefabbricato di tre piani nei pressi di Porta di Stabia, a Pompei? È la nuova sede della Soprintendenza, edificata al posto delle ex “officine Falegnami e Fabbri”, in cui risiedevano gli stessi uffici. La reazione dell’associazione ambientalista L’Altritalia Ambiente, assieme ai cittadini – da sempre sottoposti a severi divieti in virtù proprio della preservazione del paesaggio – non si è fatta attendere. La ricostruzione della vicenda, che fa sorgere alcune perplessità sull’Italia delle opere architettoniche a “doppio standard”.

UN ECOMOSTRO A POMPEI

Era gennaio 2018, quando partivano i primi allarmi cittadini nei confronti di un ecomostro di grandi dimensioni che, in mezzo ai lavori di cantiere, stava sorgendo nell’area della pineta degli Scavi di Pompei, presso Porta di Stabia. Un fabbricato in cemento di tre piani (più consono forse alla zona industriale di una grande metropoli piuttosto che al sito Patrimonio dell’Umanità UNESCO) a sostituzione delle ex “officine Falegnami e Fabbri”, in cui già risiedeva la precedente Soprintendenza. Svelato, già dal suo scheletro in fase di costruzione, l’entità del danno estetico che avrebbe inflitto al paesaggio, cancellandone una parte. Lo sbigottimento e l’indignazione dei pompeiani sollevano, in men che non si dica, le prime polemiche: in particolare dai proprietari di attività commerciali, che si erano dovuti adeguare al divieto di piazzare sedie o tavolini del bar nella piazza centrale di Pompei, dove c’è il Santuario. Stessa sorte per le bancarelle e i gazebo, sottoposti a rigide regolamentazioni. La domanda è quindi sorta spontanea: perché di fronte a ogni sorta di pignoleria, giustamente perpetrata in nome della tutela di un sito di inestimabile valore, si annulla ogni sforzo fatto con un qualunque “archeo-mostro”? E, soprattutto, era proprio necessaria la presenza di una simile bruttura? Tali domande pare non abbiano trovato risposta, ma solo accertamenti sulla legittimità di tale edificazione.

LE SPIEGAZIONI DI MASSIMO OSANNA

Ancora nel gennaio 2018, sollecitato dall’associazione ambientalista L’Altritalia Ambiente, era intervenuto un sopralluogo dei parlamentari Luigi Gallo e Andrea Cioffi del M5S: anche loro avevano espresso molte perplessità sull’opera in corso, chiedendosi se non fosse stato collocare le sedi degli uffici in strutture più leggere e discrete. La risposta era arrivata dall’allora direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, assicurando il rispetto dei vincoli urbanistici e del paesaggio e promettendo di completare l’opera con colorazioni non invasive, ampie vetrate e verde di contorno, nell’estremo tentativo di mitigare il volgare impatto della costruzione. Anche la Soprintendenza, in un comunicato stampa, aveva garantito sul rispetto delle norme legislative: “Si precisa che il Parco Archeologico di Pompei ha espletato tutte le procedure previste dalle norme urbanistiche e paesaggistiche. Il parere del MiBACT è stato espresso in merito alla compatibilità dell’intervento per gli aspetti di tutela del patrimonio culturale”.

UNO SCEMPIO A NORMA DI LEGGE

Tutto a norma, quindi. Ma basterà il rispetto delle regole a sollevare i cittadini pompeiani e tutti i diretti interessati, da questo senso di frustrazione dato da un paesaggio ormai deturpato? Proprio Vincenzo D’Anna, senatore del gruppo L’Altritalia Ambiente, era intervenuto sulla questione, intervento riportato da TorreSette: “Prendiamo atto della precisazione del Parco archeologico di Pompei. La questione di fondo, tuttavia, rimane inevasa: il grosso manufatto ricade in una zona di vincolo assoluto laddove, ad un normale cittadino, non è consentito nemmeno aprire una finestra. In base a quale norma, dunque, si è potuto procedere in deroga ai piani paesaggistici vigenti? Lo Stato è chiamato o no rispettare i vincoli stringenti che poi esso stesso impone ai suoi cittadini?”.

UN’ITALIA DI DOPPI STANDARD

Il fatto alla memoria i fatti recentemente accaduti a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, oltre alla bufera mediatica ampiamente sviluppatasi sulle pagine di Artribune. Una polemica capitanata dal critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi (che però su Pompei non è intervenuto), che ha condotto all’annullamento, a distanza di poche ore dal termine utile, del progetto architettonico di riqualificazione dello storico palazzo progettato dallo Studio Labics. Il casus belli? Un padiglione in vetro e facilmente reversibile, pensato per occupare l’area di un giardino al momento che versa in stato di degrado, per risollevare l’area e rendere i servizi museali e l’accoglienza del pubblico più agevoli. Un intervento bloccato dal ministro della Cultura Alberto Bonisoli per motivi di “incompatibilità” con il monumento storico. Il collegamento scatta fulmineo. Perché, se da una parte ci si accanisce tanto a favore della preservazione del paesaggio in prossimità di beni storico culturali, dall’altra si accetta l’erezione di un prefabbricato in mezzo a uno dei siti più antichi del patrimonio UNESCO? Una vicenda che fa luce su un’Italia di doppie indignazioni e doppi standard, in cui l’ingerenza politica pare essere una onnipresente e inevitabile cornice.

-Giulia Ronchi

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Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

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