“Sono diventato gallerista perché ero un artista fallito”. Intervista fiume al grande Thaddaeus Ropac che apre a Milano
Già presente con sette sedi internazionali a Salisburgo, Parigi, Londra e Seoul, il gallerista austriaco ha deciso di aprire una nuova galleria in Italia. In attesa di scoprire la mostra inaugurale del prossimo autunno, lo abbiamo incontrato per fargli qualche domanda

In attesa che apra la sua nuovissima galleria di Milano, una intervista a tutto campo al grande gallerista Thaddaeus Ropac: sul mercato dell’arte contemporanea, sui cambiamenti del sistema negli ultimi decenni, sul ruolo delle gallerie. E appunto sui piani per la prossima apertura milanese con la direzione di Elena Bonanno di Linguaglossa. In attesa di scoprire anche quale sarà la prima mostra negli spazi di Palazzo Belgioioso, su cui sapremo di più il prossimo giugno.
L’intervista a Thaddaeus Ropac
Ci incontriamo al ritorno, per la galleria Thaddaeus Ropac, da due fiere, TEFAF e Frieze a New York: come sono andate
Eravamo cautamente ottimisti ed è andata esattamente come ci aspettavamo, per cui potrei dire che siamo soddisfatti entro le aspettative, per quanto le vendite non siano dinamiche quanto due anni fa.
Già, anche un grande gallerista italiano mi ha detto all’incirca lo stesso giusto ieri…
Ma sai, mi viene anche da dire che non è necessariamente un male che i collezionisti impieghino magari un po’ più di tempo, che tornino a discutere, a chiedere più dettagli.
C’è oggettivamente da preoccuparsi per questa fase abbastanza prolungata di rallentamenti nel mercato dell’arte o è in qualche modo fisiologico?
Io non sono a disagio con questa contingenza, poi certo, noi galleristi siamo anche abbastanza abituati a combattere e lottare, ecco.

I cambiamenti del sistema e del mercato dell’arte
Come è cambiato il sistema dell’arte da quando hai cominciato, nei primi Anni Ottanta, a oggi?
In questi 40 anni ho visto il mondo dell’arte spostarsi dalla torre d’avorio al centro della vita. Il mondo dell’arte era piccolo ed esclusivo, per la ragione sbagliata. Era piuttosto elitario ed era molto difficile entrarvi, per cui quando eri dentro era fantastico, ma non era affatto aperto al mondo esterno. E poi era dominato da uomini, e concentrato solo tra Europa e Stati Uniti, con gli artisti europei che volevano mostrarsi in America e quelli americani che volevano essere presenti in Europa.
Poi qualcosa ha cominciato a cambiare, e a crescere anche..
Sì, e ho visto davvero questo settore aprirsi continuamente e abbracciare più culture e cambiare anche le regole.
Certo, l’effetto nicchia forse è ancora presente, o no? Con un pubblico ancora limitato…
Se possiamo credere ai dati, a livello internazionale ci sono più persone che vanno ai musei piuttosto che agli stadi di calcio. Quindi magari siamo noi a sottovalutare quanta arte sia penetrata veramente nel cuore della società, molto più che in passato ad esempio, soprattutto per il contemporaneo. Quando ero ragazzo io in Austria l’educazione del cosiddetto contemporaneo si fermava a Egon Schiele e Kokoschka! Mentre oggi mi pare che l’arte contemporanea sia assolutamente più vicina all’esperienza delle persone. Che faccia parte della loro cultura.. C’è molto interesse, noi lo avvertiamo.
Mi pare importante pensare che diventi parte dell’esperienza soprattutto delle generazioni più giovani, non credi?
Certo, e penso che per la generazione che ora ha vent’anni l’arte contemporanea sia qualcosa di così naturale, che non ha più quella configurazione elitaria che dicevamo. È più aperta, ecco.

Il mondo delle aste e delle gallerie secondo Ropac
In effetti i giovani e gli studenti appaiono interessati. Soprattutto per il mondo delle aste, tra l’altro molto più che in passato.
Posso immaginarlo, e di sicuro le case d’asta hanno un certo fascino per diverse ragioni, a cominciare dai prezzi stellari di alcune aggiudicazioni, dall’effetto sensazionalistico di tante vendite e record.
Certo è un mondo diverso da quello delle gallerie…
Sicuramente sì, con una presenza più pressante del mondo della finanza e della speculazione, naturalmente, ma questo non esclude che il pubblico o i clienti abbiano comprensione o interesse per l’arte in sé.
L’interesse per le dinamiche del mercato dell’arte è ai suoi massimi.
Questo è certo. Ho tenuto una conferenza un paio di anni fa a Harvard e dopo un po’ mi sono accorto, ho sentito che stavo perdendo l’attenzione del mio pubblico – gli studenti guardavano i loro smartphone – e allora mi sono interrotto, e ho chiesto alla platea se si aspettasse forse qualcosa di diverso dal mio intervento. E sai la risposta?
Quale è stata?
Tanto per cominciare si sono svegliati, sorpresi della mia interruzione e della mia domanda che li chiamava in causa. E poi hanno detto: “Vogliamo sapere come diventare il prossimo Jeff Koons!”. Quindi ho detto: “Okay, quindi volete parlare di mercato? Possiamo farlo!”. E siamo andati avanti su quello, perché appunto anche le persone che si occupano del mondo dell’arte così come gli artisti, in America forse ancora più che in Europa, sono desiderosi di imparare come funziona il mercato, è parte dei loro piani di carriera.

Gli artisti contemporanei e gli inizi di Thaddaeus Ropac
Il cambiamento che ha portato alla configurazione attuale del nostro sistema riguarda certo anche gli artisti. A questo proposito, anche se la storia è forse nota ai più, mi piacerebbe farti però raccontare qualcosa dei tuoi inizi. Come sei diventato gallerista?
Sono diventato un gallerista perché sono stato un artista fallito. Sono stato completamente folgorato dal mio mentore, Joseph Beuys, che diceva che tutti sono artisti, come sai. Ecco io volevo essere un artista.
E hai provato a diventare un artista.
Sì, sono andato a Düsseldorf. Beuys intanto però aveva lasciato l’Accademia, dove aveva aperto le sue lezioni a tutti quelli che volevano ascoltarlo. Fatto sta che ho realizzato presto di non avere talento come artista e allora mi sono chiesto cosa potevo fare per stare vicino agli artisti ed ecco la decisione di aprire una galleria.
Non avevi studiato per quello?
No, sono stato molto ingenuo, non avevo alcuna preparazione, non conoscevo il settore.
E credi sia cambiato poi il tuo rapporto con gli artisti dagli inizi a oggi?
Non è cambiato nella sua essenza, credo sia lo stesso di quarant’anni fa: prima devi guadagnarti la fiducia dell’artista – quella è la cosa più importante – e poi puoi costruire. È ancora fondamentale che l’artista possa fare affidamento su di te come gallerista. Ciò che è cambiato è che oggi offriamo un’infrastruttura molto più grande e ampia, anche in termini di comunicazione.
Comunicazione e un maggior grado di complessità nell’ambiente in cui ci muoviamo, anche?
Esattamente. Ci sono così tanti aspetti che semplicemente non esistevano. E molto è legato proprio alla comunicazione. Mentre poi aggiungerei che le aspettative degli artisti sono più alte oggi, non in termini di creazione e ricerca, ma sull’evoluzione delle carriere.
Sui risultati…
Sui risultati e anche sulla velocità nell’ottenerli. Gli artisti avevano aspettative diverse, in passato. Hanno dovuto aspettare anni prima di avere successo, mentre ora si aspettano un riconoscimento immediato, perché magari lo hanno visto succedere ad altri.
Le gallerie e le difficoltà delle mid-size
Questo ha un impatto diretto anche sulle gallerie, soprattutto su quelle di medie dimensioni, che a volte diventano poco strategiche e utili, agli occhi degli artisti.
Sì, e la condizione attuale di quel segmento è qualcosa che dobbiamo prendere molto sul serio, perché quei player svolgono un lavoro imprescindibile nell’ecosistema artistico. Eppure anche in questo caso mi viene da dire – perché lo abbiamo già visto accadere – che la ripresa è possibile e ci sarà. La criticità sta nel modo e nei tempi in cui le gallerie riusciranno a far fronte a questa difficoltà.
Ci sono molte realtà consolidate tra le gallerie che stanno cercando di trovare una soluzione in termini di collaborazione con le colleghe più giovani o fragili, ad esempio…
Può aiutare, ma non credo sia la soluzione. Sono tentativi rispettosi di dare un segnale, ma la soluzione può arrivare dal sistema, dal mercato stesso che tornerà a rafforzarsi. Questo genere di condizioni che stiamo osservando nel mercatonon durano mai troppo a lungo, per fortuna, di solito si protraggono per un paio di anni, per cui potremmo essere vicini alla fine anche di questo passaggio, questo spero!
Certo la contrazione è ancora qui, le fiere di New York in qualche modo lo hanno confermato e anche le aste che sono già in previsione più contenute per valore rispetto all’anno scorso o ancora di più a qualche anno fa.
Sicuramente stiamo attraversando perdite di volumi innegabili. Ma è bene notare che più che far abbassare i prezzi si stanno riducendo le transazioni e le opere offerte nei segmenti apicali. I regimi di prezzi sono solidi e sostanzialmente invariati. E a rispondere meglio, se guardiamo l’ultimo report di Art Basel sono state tra l’altro le gallerie, anche quelle di medie dimensioni.
Come aumenta il numero di transazioni in una gamma di prezzi non stellari. O in asta, vicino alle stime minime, come è stata la vendita della collezione Riggio da Christie’s a New York il 12 maggio 2025.
Quella è però una vendita che considererei a parte e non indicativa di questa settimana. Perché era la più grande collezione per valore di questa sessione, e completamente garantita. Aveva poi stime già alte in partenza e il fatto di averle incontrate è già un segnale positivo. Sul resto dei cataloghi vedrai stime più contenute e c’è da aspettarsi buonissime percentuali di venduto.
Anche in galleria trovi che i prezzi stiano tenendo?
Noi non stiamo abbassando i nostri prezzi. Stiamo piuttosto vendendo in maniera più calibrata, ma l’offerta resta solida, in attesa che tornino tempi più favorevoli, come dicevo.

Le ragioni di una nuova galleria Ropac a Milano
Veniamo però a Milano, e all’Italia. Perché Ropac apre in Italia?
Abbiamo lavorato con l’Italia per decenni con i nostri artisti, e penso in particolare ai tantissimi progetti realizzati per la Biennale di Venezia, ma non solo. Ho viaggiato spesso qui, ho un grande amore per l’Italia anche, e per me è stato quindi naturale pensare di aggiungere un presidio italiano.
E perché proprio Milano? Sai che tanto si parla anche di agevolazioni fiscali per chi arriva da fuori: ha influito anche questo nella decisione?
Abbiamo preso in considerazione diverse ipotesi: Napoli e Roma, poi Firenze o Venezia, Palermo anche, ma poi è stato chiarissimo – ed era anche prima delle condizioni complesse post-Brexit per i non-dom – che Milano era il luogo per noi. Perché era il luogo più interessante per l’arte contemporanea in Italia. E per la sua storia. Quando pensi all’arte del Dopoguerra pensi a Milano, a Lucio Fontana, ai rapporti della città anche con Torino e l’esperienza dell’Arte Povera. O al contributo al sistema delle accademie e delle istituzioni pubbliche.
E per quanto riguarda la tua base di collezionisti, in Italia o a Milano? È rilevante?
Non abbiamo effettuato uno studio di fattibilità, confesso. Certo abbiamo collezionisti a Milano, in tutta Italia a dire il vero, e soprattutto al nord. Ma queste decisioni mi piace prenderle seguendo il mio istinto e ciò che ispira di più me e i nostri artisti.
E quindi hai mostrato loro il nuovo spazio di Palazzo Belgioioso?
Ovviamente! Certo al momento stiamo ancora portando avanti i lavori necessari, ed è tutto ancora in cantiere, ma puoi sentire lo spazio, i volumi. Ed è entusiasmante.
Non mi dirai della mostra inaugurale, ma qualcosa me lo puoi anticipare?
Posso dirti che vogliamo portare molti nuovi artisti che non sono stati esposti in questo contesto, anche per non sovrapporci al lavoro delle altre gallerie attive qui con cui li condividiamo e che rispettiamo molto. Mi piacerebbe piuttosto aggiungere qualcosa, ecco, all’offerta della città. Proponendo artisti che non abbiamo mai avuto mostre qui o che magari manchino da molto tempo.
Un’ultima domanda: stai studiando l’italiano?
Sì, e va meglio che con il mio coreano! Amo molto questa lingua, anche grazie alla mia passione per l’opera. E spero di essere qui ogni volta che posso, anche per poter andare alla Scala!
Cristina Masturzo
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