La (non) trasparenza del mercato dell’arte

L’arte e gli standard internazionali di valutazione: un convegno a Milano, organizzato da RICS nel Palazzo di Banca d’Italia, fa il punto.

A fronte di un consistente volume di transazioni, a livello mondiale, che nel 2017 ha superato i 63 miliardi di dollari, secondo il Report 2018 di Art Basel, il mercato dell’arte del nostro Paese rappresenta circa l’1 per cento. Le ragioni sono molteplici, dalla debolezza programmatica dei nostri Istituti di Cultura all’estero alla reticenza delle gallerie nell’investire in artisti nostrani, dalla scarsa promozione da parte di curatori italiani che hanno posizioni decisionali in istituzioni internazionali prestigiose, all’inferiore capitale d’investimento dei collezionisti italiani rispetto a quelli americani, degli Emirati Arabi o cinesi. Tutto ciò è ampiamente risaputo e altrettanto poco dibattuto.
Ma c’è un’altra questione fondamentale che riguarda la mancanza di standard internazionali di valutazione delle opere. Nel mercato dell’arte, e non solo in Italia, non esistono a oggi regole trasparenti e parametri condivisi, accertati, nella valutazione dei beni artistici.  Di questo si è parlato al convegno dal titolo Fair Art: l’Arte e gli Standard Internazionali di Valutazione, organizzato da RICS, Royal Institution of Chartered Surveyors ‒ organizzazione istituita nel Regno Unito nel 1868 per promuovere un codice di condotta in grado di portare etica e professionalità nello sviluppo e nella gestione di terreni, immobili, costruzioni e infrastrutture ‒ ospitato nel palazzo della Banca d’Italia, nel cuore del quartiere finanziario di Milano.
La mission del convegno è stata quella di rilevare un dato di fatto: la scarsa trasparenza e regolamentazione del settore, il sistema fiscale da rivedere e la mancanza di standard condivisi nel valutare le opere d’arte. Discussione che sembra sia diventata urgente considerando che l’arte è tra le maggiori potenzialità inespresse del nostro Paese e che a livello globale il mercato ha ripreso a crescere, grazie soprattutto agli investitori corporate e privati. L’arte è oggi, senza tanti giri di parole, un asset, in un’ottica di diversificazione dei propri portafogli. E quindi suscita l’interesse del sistema bancario, di consulenti legali, assicurativi e aziendali.

L’ARTE NON È INUTILE

Ha fatto gli onori di casa, Giuseppe Sopranzetti ‒ Direttore Sede Milano della Banca d’Italia, che vanta in una delle sue sale un arazzo di Balla ‒, per il quale “in un Paese che ha il più importante patrimonio artistico al mondo, l’arte diventa un asset fondamentale”. Ha poi citato una celebre frase di Ionesco: “Se non si comprende l’utilità dell’inutile, l’inutilità dell’utile, non si comprende l’arte”, aggiungendo: “L’utilità del presunto inutile è importante nel campo finanziario”. Per comprendere l’utilità dell’arte basta vedere il film Francofonia di Aleksandr Sokurov, che racconta dei capolavori del Louvre salvati nella Parigi occupata dai nazisti, grazie all’alleanza di due uomini all’apparenza nemici, il direttore del museo Jaques Jaujard e l’ispettore nazista Franziskus Wolff-Metternich. Se lo stesso Louvre nel 2018 ha superato gli 8 milioni di ingressi, forse l’arte non è poi tanto inutile. E fa utile. Sull’importanza del nostro patrimonio si è soffermato anche Luigi Donato, Capo Dipartimento Immobili e Appalti, Banca d’Italia, che ha ricordato che la Banca d’Italia, a partire dagli Anni Ottanta, ha cominciato ad acquisire opere di autori degli Anni Cinquanta, sottolineando che molte opere sono state comprate a pacchetto, perché più conveniente. Tutto questo con la consulenza di periti incaricati dalla Banca. Un po’ come succede col due per tre al supermercato.

REGOLAMENTAZIONE E STANDARD DI VALUTAZIONE INTERNAZIONALI

A sottolineare l’importanza di standard internazionali di valutazione è stato Daniele Levi Formiggini, Presidente Italia di RICS e promotore del convegno, per il quale “l’arte è importante perché rappresenta sempre più un asset che interessa al mercato finanziario. Gli standard saranno quindi lo strumento essenziale per far crescere le professionalità”. Sulla stessa linea il tedesco Roeland Kollewijn, Global Arts&Antiques Board, Vasaris che, riferendosi al sistema dell’arte, ha parlato di ambiente molto fumoso. “La valutazione”, ha affermato, “ha bisogno di standard internazionali di valutazione che siano controllabili come succede per altri asset”.

IL SISTEMA DELL’ARTE COME STAR SYSTEM

Secondo Stefano Baia Curioni, Professore del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Università L. Bocconi e moderatore del convegno, “il sistema dell’arte funziona come lo star system. Sono pochi in realtà coloro che producono la valutazione delle opere”. Parla di “influenzatori” ‒ prendendo a prestito la parola inglese influencer. Poi parla dei galleristi i quali “non vogliono che le loro opere vadano in asta perché poi scatta la volatilità.
Secondo Curioni è necessaria una “professionalizzazione di queste figure di valutazione perché sono loro a definire la storia dell’arte del presente e del futuro”. Anche Vittorio Scala, Country Manager, Lloyd’s Italian Office, punta il dito sui galleristi sostenendo che nell’assicurare le opere d’arte “va considerato l’assicurato”. Vi sarà quindi una valutazione diversa se si tratta di collezionisti che vogliono “proteggere le loro opere o di galleristi il cui obiettivo invece è quello di far crescere il loro valore”. Vi sono però collezionisti che, stanchi delle loro opere, le rivendono con molta destrezza. Forse è bene ricordare il caso Pierre Bergé, che ha venduto all’asta in un battibaleno tutta la collezione di Yves Saint Laurent dopo la sua morte.
Scala ha posto inoltre l’accento sui costi delle valutazioni poiché, ha detto: “Ci sono assicuratori che impiegano esperti riconosciuti e chi non”. E qui ci sarebbe già una falla. Com’è possibile che, per risparmiare sull’eventuale perizia, sia permesso non impiegare esperti e periti competenti per valutare beni artistici?

Nel mercato dell’arte, e non solo in Italia, non esistono a oggi regole trasparenti e parametri condivisi, accertati, nella valutazione dei beni artistici”.

Tutti concordi sull’importanza dei periti e degli esperti, che dovrebbero adottare criteri internazionali di valutazione. C’è anche chi, come Silvia Stabile, membro del Focus Team Arte e Beni Culturali, BonelliErede, ha lanciato la proposta di istituire un albo dei periti valutatori, ammettendo di non usare i periti nominati dai Tribunali perché, ha affermato: “Non si può essere esperti in tutto, essere tuttologi. Un requisito fondamentale è l’indipendenza del valutatore”. In Germania, ci dice Roeland Kollewijn, i periti passano per la Camera di Commercio”. E anche in questo caso emergono sistemi diversi.

DAL FAR WEST A WALL STREET

La situazione attuale è sicuramente poco trasparente, non censita, non oggettiva e non solo in Italia, ma a livello globale. Riuscire a regolamentare il settore, non solo a livello nazionale ma internazionale, è un’impresa titanica. Per molte ragioni. Chi definisce oggi il costo di un’opera di un giovane artista è principalmente la galleria. Poi nel tempo e nella “crescita” commerciale dell’artista subentrano altri numerosi parametri e variabili: mostre, premi, pubblicazioni, cataloghi, altra/e galleria/e, presenza in collezioni importanti ecc. Definire standard di valutazione condivisi su opere di artisti ancora non affermati potrebbe essere un compito piuttosto complesso, anche per mano di esperti e periti accreditati. E non va sottovalutato che il costo dell’opera non sempre è direttamente proporzionale al suo “valore” storico artistico. Quale dovrebbe essere poi l’organo preposto a garantire la qualità delle perizie? Sarebbe lo stesso ente o istituzione per tutti gli Stati che aderiscono agli standard internazionali? Vi sarebbe a sua volta un’istituzione internazionale garante e super partes? Quali criteri si dovrebbero adottare per le opere antiche, per quelle moderne e contemporanee? Diversi per un artista contemporaneo morto e per uno in vita e quindi ancora produttivo? Il sistema dell’arte è globale. Che cosa succederebbe se, ad esempio, ad acquistare un’opera, valutata in un Paese che aderisce agli standard internazionali di valutazione, fosse un collezionista che vive in un Paese che non adotta quegli stessi standard? Come sarebbe rivalutata quella stessa opera e secondo quali criteri? Il Salvator Mundi ora attribuito a Leonardo da Vinci è stato acquistato nel 1958 per 60 dollari. Dopo la sua autenticazione, il valore nel 2013 è passato da 80 a 127 milioni di dollari. È stato battuto all’asta lo scorso anno per 450 milioni di dollari.
È plausibile che in uno scenario non troppo irrealistico e lontano arriveremo a quotare determinate opere in Borsa, acquistarne le azioni e stare a guardare le oscillazioni del mercato. La strada per gli standard di valutazione internazionali è ancora lunga e burocraticamente tortuosa. La Borsa, invece, è più vicina di quanto immaginiamo.

Daniele Perra

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Daniele Perra

Daniele Perra

Daniele Perra è giornalista, critico, curatore e consulente strategico per la comunicazione. Collabora con "ICON DESIGN", “GQ Italia”, “ULISSE, "SOLAR" ed è docente allo IED di Milano. È stato fondatore e condirettore di “unFLOP paper” e collaboratore di numerose testate…

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