È il mercato d’asta ad aver riconosciuto per primo le potenzialità dell’Africa. Bonhams è la firma più importante a essersi ricavata una nicchia a Londra dal 2006: ogni anno programma due aste di arte sudafricana (ricordiamo la vendita dello scorso marzo focalizzata sul più internazionale di questi artisti, William Kentridge) e una di arte contemporanea da tutto il continente. L’arte sudafricana porta nelle casse di Bonhams un fatturato di $18 milioni l’anno ed è una delle principali basi per i record di questi artisti, fra i quali si può citare Irma Stern.
Dal Ghana, noto in tutto il mondo, El Anatsui ha registrato il suo record più recente da Christie’s a New York a maggio, con il martelletto che si è fermato a $ 1,7 milioni. Una levatura del genere ha fatto sì che le sue opere vengano inserite addirittura nelle Evening Sale di Christie’s e Sotheby’s, senza tuttavia che queste ultime case d’asta abbiano creato vendite ad hoc per l’arte africana contemporanea, riservate esclusivamente ai manufatti tradizionali. Anche Artnet si è lasciato attrarre da questo mercato emergente: Yinka Shonibare, El Anatsui, Wangechi Mutu, Julie Mehretu sono stati i protagonisti della prima asta online organizzata la scorsa primavera sull’arte africana.

Come è avvenuto in altre aree emergenti, questo processo di internazionalizzazione ha come punto di partenza l’interesse manifestato dagli attori esterni, alla ricerca di territori inesplorati da far crescere, a cui si stanno unendo i giovani arricchiti che si trovano soprattutto in Sudafrica e Nigeria, le due economie più ricche del continente.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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